domenica 12 luglio 2020

Hit Parade History. Classifica dei 20 singoli più venduti in Italia del 3 Luglio 1999. L'appello anti-guerra di Ligabue, Jovanotti e Pelù ancora in testa. Inizia l'ascesa del Mambo no. 5 di Lou Bega




E’ appena terminata la settimana delle celebrazioni per il venticinquennale della nostra Radio Mania 88.2 che come sempre ringraziamo per trasmettere dal 2017 la trasmissione ufficiale del nostro progetto Operazione Nostalgia Musicale. Per l’occasione, abbiamo deciso di far ripartire sul nostro blog ufficiale (e nel contempo anche su La Ragnatela News) la nostra rubrica “Hit Parade History” commentando una classifica risalente proprio ad una prima settimana di luglio. E l’anno scelto, tra quelli successivi alla nascita di Radio Mania) è il 1999: probabilmente l’estate musicale italiana con più successi di ogni genere di sempre. A testimoniarlo non è solo la capacità di durare nel tempo di molti dei brani di alta classifica di quella stagione, ma anche il grande successo dell’edizione annuale del Festivalbar e delle relative compilation (e alcuni successi non fanno parte della tracklist delle compilation!) e del proliferare delle compilation dance di successo di quella stessa estate (su tutte la mitica Hit Mania Dance Estate 1999). Signore e signori, vi presentiamo i 20 singoli più venduti del 3 luglio 1999! (Fonte: HitParade Italia)



Partiamo dalla posizione numero 20, dove troviamo i Red Hot Chili Peppers con Scar Tissue che scendono di una posizione. Il 1999 è stato l’anno della consacrazione a livello mondiale per la band californiana grazie al successo planetario dell’album di appartenenza del singolo citato, intitolato Californication, e a settembre si resero protagonisti di un momento storico del Festivalbar: un’esibizione completamente dal vivo in qualità di ospiti internazionali sotto la pioggia battente dell’Arena di Verona. Troviamo un altro grande protagonista del Festivalbar 1999 alla posizione numero 19 (anche lui in discesa di una posizione), ed è Alex Britti con Mi piaci. Un 1999 da incorniciare per il chitarrista e cantautore capitolino che, dopo la vittoria a Sanremo nelle Nuove Proposte con Oggi sono io, azzecca il tormentone estivo per il secondo anno di fila dopo Solo una volta del 1998 aggiudicandosi al Festivalbar il premio Rivelazione dell’anno premiato da nientemeno che Pino Daniele in un ideale passaggio di testimone. Diciottesima Jennifer Lopez con il suo singolo di debutto da cantante If you had my love, prima new entry in top 20 e in salita di cinque posizioni nella classifica generale dei singoli più venduti. Due pezzi in netta discesa nelle due posizioni successive: alla 17 scende di ben 10 posizioni Secretly degli Skunk Anansie, mentre alla 16 si registra un -8 per Blue degli Eiffel 65. Ma per il brano del trio dance torinese si tratterà di una discesa solo momentanea, perché nelle settimane successive si assisterà a una risalita netta del brano che spianerà al brano la strada per un successo planetario. Cinquina di successi internazionali dalla posizione numero 15 alla 11: alla 15 i Guano Apes con Open your eyes (+1), alla 14 in discesa di una posizione i Chemical Brothers con Hey boy hey girl, alla 13 scende di quattro posizioni Anggun con Snow on the Sahara, alla 12 in salita di due gradini i Jamiroquai con Canned heat e alla 11 il singolo di debutto da solista di Geri Halliwell Look at me che esce dalla Top 10 scendendo di una posizione.



La Top 10 si apre con la seconda new entry delle prime 20 posizioni della classifica singoli (ed è in salita di ben 38 posizioni nella classifica generale!), Wild wild west di Will Smith. Salgono anche le TLC con No scrubs (+6 e numero 9) e una Britney Spears che con Sometimes (+5 e numero 7) punta il bis dopo il grande successo di Baby one more time, con in mezzo un Ricky Martin in discesa di due posizioni al numero 8 con Livin’ la vida loca. Dopo nove brani di artisti internazionali e tredici cantati in lingua inglese, alla numero 6 troviamo il secondo brano italiano più alto di questa classifica: Per te di Jovanotti, in discesa di una posizione. Il 1999 è un’annata indimenticabile per Jovanotti, dato che nel corso dell’estate porterà al successo non uno, non due ma TRE singoli: la già citata Per te, Un raggio di sole che vincerà il Festivalbar e nel mentre va già forte in radio, e un brano in collaborazione con altri due colossi della musica italiana per un progetto congiunto di cui tra poche righe parleremo, essendo anch’esso in questa classifica. Se alla numero 6 troviamo il vincitore italiano del Festivalbar ’99, alla posizione numero 5 c’è invece il vincitore di Festivalbar International, il premio per il brano straniero più gettonato dell’estate in Italia: Lou Bega con il tormentone Mambo no. 5, più alta nuova entrata della Top 20 e in salita in classifica generale di 31 posizioni. Infine, invariate le prime quattro posizioni dalla 4 alla 1 rispetto alla settimana precedente: al quarto posto i Backstreet Boys con I want it that way, al terzo posto l’allora giovanissima Lene Marlin con Unforgivable sinner, al secondo Madonna con Beautiful stranger (colonna sonora del film “Austin Powers: la spia che ci provava”) e alla posizione numero 1 il trio composto da Jovanotti, Ligabue e Piero Pelù (il progetto LigaJovaPelù) con Il mio nome è mai più. Un brano di beneficenza e contro ogni forma di violenza e guerra (tema portante i conflitti in Kosovo di quella primavera) portato al successo da tre Re Mida della musica italiana del periodo: tra un Jovanotti che piazza come detto prima tre singoli di successo (e un album, perché Lorenzo vincerà il Festivalbar anche nella sezione Album per Capo Horn) nella stessa estate, un Liga che dal 1995 non ha sbagliato un singolo arrivando a riempire gli stadi e un Piero Pelù al debutto solista che nonostante la crisi interna ai Litfiba continua a mietere successi di vendite, passaggi radiofonici e concerti per l’era Infinito floppare era letteralmente impossibile.

venerdì 15 maggio 2020

LE INTERVISTE DI OPERAZIONE NOSTALGIA MUSICALE - Intervista a Michele Pecora


Settima intervista ufficiale per il nostro blog di Operazione Nostalgia Musicale! E’ dopo Lisa, Davide De Marinis e i Jalisse il terzo artista reduce da “Ora o mai più” a essere intervistato per il nostro progetto, tra interviste radio e interviste per il nostro blog ufficiale. Vincitore di un’edizione del Festival di Castrocaro (1977), tra i suoi brani più noti troviamo Era lei, La mia casa (con cui vinse quel Castrocaro) e Me ne andrò. Ha scritto inoltre diversi altri grandi successi per altri artisti (tra i quali Rivoglio la mia vita di Lighea, Sanremo 1995). Lui è Michele Pecora!





Ci siamo già incontrati a Minturno Musica Estate lo scorso anno…

Il “Mammaro Show”! Davvero bella questa manifestazione che fa ogni anno Pasquale Mammaro con grande passione, trasporto, affetto, e si vede.


Come stai innanzitutto, Michele?

Tutto bene, dai, siamo riusciti a pubblicare questo singolo dopo un anno, anche se in un momento particolare, ma ci tenevo a pubblicarlo adesso anche per dare un segnale, ecco.


E’ quindi un brano che sarebbe uscito anche senza questa epidemia di Covid-19?

Sì, sarebbe uscito comunque perché rappresenta il primo singolo dell’album che è finito, manca pochissimo, mancano piccoli ritocchi ma poi abbiamo interrotto perché poi è successo tutto quello che sappiamo già. E allora io ho pensato: adesso il singolo è già pronto, è pronto precisamente da ottobre. Lo abbiamo rimandato, rispostato, poi è arrivato Sanremo e quindi ho deciso di farlo uscire ora perché pezzi come questo in qualche modo invecchiano.


Come è nata l’ispirazione per questo brano, “E la vita torna”?

L’idea in realtà è nata da una riflessione, e cioè che ripercorrendo un po' tutta la mia vita, la mia carriera ma anche la vita personale, mi sono accorto che per tanti momenti difficili che ho vissuto, ne ho avuti altrettanti molto belli, se non di più. E allora, facendo un bilancio, ho fatto questa considerazione: che la vita, in effetti, chiede tanto, e qualche volta ti toglie anche. Ma proprio nel momento in cui ti toglie quasi coscientemente, proprio in quel momento è lì che sta nascendo un’altra cosa, un’altra opportunità, si apre un’altra finestra, un’altra porta. Tu non lo sai ancora perché in quel momento non stai bene, sei provato da una quotidianità non facile e invece la vita è proprio lì che ti sta preparando la prossima occasione. Quindi la vita torna sempre, in qualche modo ritorna. E’ da questa riflessione che nasce il pezzo.


Album che uscirà quarant’anni esatti dopo l’uscita del tuo primo 33 giri “Michele Pecora” uscito nel 1980.

Un bel lasso di tempo! Questo dimostra che nella vita non si può mai dire nulla…


Lo scorso anno hai partecipato alla seconda edizione di “Ora o mai più” su Rai Uno. Parlaci di questa esperienza.

Devo dire che è stata un’esperienza molto bella, un’esperienza completamente nuova per me che ero abituato a fare televisione in tutt’altro modo. Il senso del programma è molto nobile, bisogna riconoscerlo perché va proprio a riscoprire, a ridare valore e dignità a chi come noi una traccia di sé l’aveva lasciata negli anni, nel mondo della musica e dello spettacolo, e quindi offrire nuove opportunità. E’ chiaro che la nuova opportunità è un’opportunità di visibilità, non di successo discografico. Io scindo le due cose perché sono molto diverse. La visibilità è una cosa, il successo discografico è un’altra. La televisione serve per farsi ricordare, per farti conoscere da chi ti riscopre o chi ti scopre in quel momento. Il successo discografico è un’altra cosa, perché dipende dalla canzone e soprattutto dalle radio. Noi artisti siamo molto legati alle radio, per quello che riguarda il nostro percorso discografico. Poi la televisione è spettacolo, quindi… Comunque, è stata un’esperienza positiva, devo dire, molto molto piacevole, molto sentita, difficile, perché ti metti in gioco, metti in gioco non soltanto la tua parte professionale ma anche la tua parte umana. Quindi viene fuori tutto quello che tu sei, perché comunque ti confronti, perché comunque racconti della tua vita, della tua storia, quindi questo è molto bello. Poi sta a ognuno di noi ovviamente gestirla nel migliore dei modi, senza lasciarci troppo prendere dal meccanismo televisivo perché altrimenti rischieremmo di lasciarci stritolare.


Durante “Ora o mai più” hai presentato anche un inedito intitolato “I poeti”. Parlaci di questo brano.

Devo dire che la forza di una canzone è incredibile, ogni volta mi accorgo sempre di più di questa cosa. Io ho avuto un percorso non semplicissimo artisticamente all’interno di Ora o mai più, perché comunque ero legato a un genere musicale che era un po' diverso da quello dei miei coach. Anche se ci siamo divertiti, ci siamo trovati d’accordo, forse non era venuta fuori la mia parte più intima di compositore. Quando è arrivata quella canzone si è creata un’atmosfera in studio che non so dirti… magica è dir poco. Vedere a un certo punto a metà dell’esecuzione tutti in piedi davanti a me in quella sensazione nella quale si trattiene anche il respiro perché non si vuol perdere neanche una parola di quello che si sta ascoltando. E’ arrivata in maniera dirompente. Rimettendo in gioco e in discussione tutto quanto: io ero ultimo in classifica e poi ho vinto quella puntata. E’ incredibile, era quasi impossibile. Presi singolarmente i voti più alti di tutte le puntate e di tutti quanti i partecipanti in quell’occasione. La canzone è arrivata davvero come una spada. E ne sono felice: perché se la differenza la fanno le canzoni abbiamo ancora di che sperare nel nostro mestiere. Tu puoi essere bravo quanto puoi, ma se non hai una bella canzone non succede nulla, è questa la verità. E se la crei c’è un’atmosfera strana, una sorta di atmosfera magica, come se fosse venuta giù a un certo punto dal cielo una cascata di stelle filanti colorate. Una sorta di magia all’interno di una canzone, veramente bello. Un momento in cui avevo sperato, ma non avrei mai immaginato che potesse realmente accadere. Scherzando, a pranzo con Pasquale Mammaro prima dell’ultima puntata, gli dissi: “Io stasera prendo tutti 10 e ti faccio vedere che vinco la puntata”. E ci siamo messi a ridere, perché sembrava una cosa impossibile. E invece no: è successo!


Andiamo molto indietro nel tempo, al 1977, all’inizio della tua carriera: fu un anno molto importante per te perché vincesti il Festival di Castrocaro con il brano “La mia casa”. Parlaci di questa esperienza e del tuo approccio a quella vittoria.

Sono arrivato a Castrocaro perché lavoravo in una radio e facevo un programma dedicato ai cantautori, e scrivevo già canzoni. L’editore della radio un giorno mi disse: “Michele, perché non mi dai una cassetta tua? Io sono amico di Gianni Ravera”. La invio a Gianni in attesa del suo parere. Dopo qualche giorno mi chiama Ravera e mi convoca a Roma. Io vado a Roma, mi fa cantare in uno studio di registrazione, canto, lui mi chiama e mi dice: “sei molto bravo, mi piace molto come scrivi, ti porto a Castrocaro”. E così è iniziata quella mia avventura. Ho fatto tutte le selezioni, eravamo 1800 quell’anno, perché era l’unico concorso italiano per giovani importante. Poi arrivai in finale e alla fine ho vinto quel Festival, e la mia vita da allora è cambiata completamente. Il contratto con la Warner lo avevo invece già firmato prima della finale, precisamente durante la semifinale. E il modo in cui sono stato preso dimostra quanto siamo legati alla fortuna noi artisti, la fortuna fa il 50-60% della nostra carriera. L’amministratore delegato Warner venne alle prove e se ne stava andando via perché si era stufato di sentire tutte queste canzoni nuove che non lo convincevano. Mentre stava uscendo dal Teatro delle Terme, come ha messo il primo piede sul gradino io inizio a cantare. In quel momento lui si è inchiodato come se fosse stato fulminato da una visione, è tornato dentro e ha detto: “chi è che sta ancora cantando?”. Ravera iniziò a parlargli di me. Io dopo dieci minuti non avevo ancora la firma ma già l’opzione Warner. Vedi? Se lui fosse andato via cinque minuti prima, la mia vita sarebbe stata diversa.


Inoltre hai avuto anche un grandissimo successo come autore per altri artisti e a Sanremo 1995 hai lanciato la carriera di Lighea per la quale hai scritto “Rivoglio la mia vita”.

Lighea, ai tempi una giovane e bravissima ragazza dalla voce straordinaria, mi chiedeva un pezzo da due anni. Siccome sono un istintivo, un passionale, non mi venivano idee. Un giorno, non ricordo per quale circostanza, nasce questo pezzo. Contatto Lighea dicendole che avevo trovato il pezzo giusto per lei. Lei lo ascolta e lo accoglie con grande entusiasmo. E da lì siamo partiti per andare a Sanremo. Il Festival del 1995 fu un Sanremo storico, con tanti artisti interessanti nel cast, c’era Giorgia, c’era Barbara Cola… Barbara, poi, diciamo che è stata non dico una mia scoperta, perché lei già cantava, però un mio amico me la fece sentire, era giovanissima, aveva 16 anni. Io appena la sentii mi accorsi di avere di fronte un talento straordinario, incredibile, dalla timbrica e dalla capacità vocale unica. Tra l’altro ci siamo ritrovati a Ora o Mai Più con Barbara. Ho scritto una canzone per lei che non vinse Castrocaro, arrivò seconda per pochissimi punti, ma risultò la vincitrice morale perché poi da lì iniziò la sua carriera, ci fu l’incontro con Morandi e il resto è storia nota. Era una canzone dal titolo “Tutto il bene del mondo”, che lei cantava divinamente ed era un brano che la rappresentava molto. Tornando a Lighea, siamo arrivati in alto in classifica perché il pezzo era molto bello, colpiva molto. Poi lei era molto brava, aveva una grande capacità scenica e quindi tutte queste cose insieme hanno fatto di quel pezzo un bel momento.


Hai svolto nel corso della tua carriera anche l’attività di talent scout. Quale consiglio daresti a un giovane che si vuole avvicinare al mondo della musica?

Il consiglio che dò sempre nei miei incontri con i giovani, dove chiacchieriamo, parliamo, raccontiamo, racconto la mia storia che magari può essere utile come esperienza. La cosa che dico è che questo mestiere benedetto, a volte maledetto, è un mestiere difficile e impegnativo, e quello che fa la differenza è la passione. La passione ci fa superare i momenti di difficoltà e ci fa andare avanti anche quando non c’è il consenso, perché il consenso è una cosa che viene da sola. Non bisogna cercarlo, non bisogna chiederlo. Io non l’ho fatto neanche da ragazzo. Scrivevo, poi se piacevano piacevano e se non piacevano non m’interessava, perché piacevano a me, quindi andava bene così. Ecco, se ci sono queste premesse e queste condizioni, allora è un mestiere che consiglio di fare a chi ha talento.


“I poeti” sarà presente nel tuo nuovo album?

No, non sarà compresa nel nuovo album. Saranno tutte canzoni inedite, 10 canzoni inedite. Ci sarà “E la vita torna”, sinora l’unico pezzo pubblicato e ci sarà un brano nel dialetto delle mie parti, il Cilento. Erano tanti anni che lo volevo fare. E’ una dedica d’amore alla mia terra.


Infatti tu sei molto legato alla tua terra, Agropoli, a cui è dedicato proprio il brano con cui hai vinto Castrocaro, “La mia casa”.

E’ una canzone infatti che parla di una casa, di ricordi d’infanzia.


Ultima domanda: quali saranno i temi principali del nuovo disco, per anticiparci qualcosina?

Sarà un disco di riflessioni, come “E la vita torna”, sulle persone che affrontano un viaggio per cercare una vita migliore, scappano dalla povertà, dalla disperazione. Principalmente si tratta di una riflessione su quello che mi circonda, sul mio guardare il mondo. Guardare il mondo significa accorgersi di quello che nel mondo c’è di bello e di meno bello e raccontarlo attraverso le canzoni di questo album.

martedì 28 aprile 2020

LE INTERVISTE DI OPERAZIONE NOSTALGIA MUSICALE - Intervista a Vito Caporale (Baraonna)


Sesta intervista ufficiale per il nostro blog di Operazione Nostalgia Musicale! Abbiamo già intervistato questo artista nella Quindicesima Puntata del 23 Maggio 2019. Lui è il leader di un gruppo vocale romano, i Baraonna, che ha partecipato a Sanremo nelle Nuove Proposte nel 1994 vincendo anche il Premio della Critica di categoria e collaborato con diversi artisti italiani storici, tra i quali Claudio Baglioni, Renato Zero, Mango e Riccardo Cocciante. Grande successo di pubblico e critica hanno riscosso anche i loro spettacoli teatrali. E’ da un mese uscito il nuovo album dei Baraonna intitolato “Quattro”, e lui ci ha raccontato alcuni dettagli sul nuovo progetto in quest’intervista. Lui è Vito Caporale!




Ciao Vito! Innanzitutto, ho saputo dell’uscita del nuovo album dei Baraonna. Parlacene!

Questo è un disco che si intitola “Quattro” per vari motivi. “Quattro” perché è il quarto disco con inediti dei Baraonna. Poi d’altra parte noi siamo quattro e c’è anche da dire che all’interno del CD c’è un brano che dà il nome all’album che si intitola “Quattro”, che è la declinazione del numero 4 in tutte le varie possibilità. Il disco è composto da dieci tracce, ci sono 7 inediti che abbiamo scritto ad hoc per questo lavoro, poi c’è il nostro brano sanremese “I giardini d’Alhambra” e poi ci sono due cover, un omaggio a Tosca con “Il terzo fuochista” e a Mia Martini e il grande Franco Califano con “Minuetto”. Abbiamo fatto due versioni molto intime, pianoforte e voci riarrangiate un po' alla nostra maniera. Quanto a “I giardini d’Alhambra”, brano che ci ha dato tante soddisfazioni facendoci vincere il Premio della Critica nelle Nuove Proposte, lo abbiamo voluto rifare in una versione nuova, più “rinfrescata”, senza interventi orchestrali, una cosa pensata per un quintetto che ha suonato tutto il disco: Pippo Matino al basso elettrico, Alessandro Tomei al sax e flauto, Andy Bartolucci alla batteria e percussioni, e Marco Sinopoli alle chitarre. Poi io al piano e i Baraonna alle quattro voci. Ti ho fatto tutti gli ingredienti di questo disco! Abbiamo messo tanto cuore, tanta voglia di fare, tanto divertimento e tanta gioia. Purtroppo è uscito in un momento particolare della nostra vita, in piena quarantena, è uscito infatti il 15 di marzo, prodotto dalla Velut Luna, casa discografica veneta, sempre attenta a quelle cose un po' particolari a livello di linea editoriale. Non lavora sul commerciale ma predilige quei progetti considerabili un po' innovativi rispetto ai prodotti lanciati solitamente sul mercato attuale.


Avete quindi dato un motivo in più per restare a casa ad ascoltarvi ai vostri ascoltatori e ammiratori!

Infatti ci stanno arrivando tanti bei messaggi, tanti feedback positivi da parte di chi ci sta ascoltando! Quindi invito tutti quelli che sentono questa trasmissione ad andarlo a cercare, sta su tutti i web stores ed è già in distribuzione.


Tra le varie collaborazioni fatte dai Baraonna, quale è quella che per te ha significato di più?

Abbiamo fatto tante collaborazioni in carriera, come chi ci segue sa: abbiamo collaborato con Baglioni, Renato Zero, Cocciante… ma se devo sceglierne una in particolare, sicuramente quella con Claudio Baglioni. Con Claudio Baglioni perché con Claudio non si tratta di un evento occasionale, una partecipazione a un disco, ma abbiamo fatto tantissime cose. Quindi è nata una collaborazione che è durata negli anni. Abbiamo fatto tante volte “O’Scia” che è un festival che lui organizza a Lampedusa, così come “Su’ siti”. Abbiamo collaborato nel disco “Crescendo e cercando” partecipando anche al videoclip ufficiale girato al un’esperienza particolare. Poi abbiamo con lui aperto un concerto in Piazza Duomo a Milano a fine 2004 davanti a 500.000 persone, praticamente tutta la Lombardia! Siamo rimasti poi con lui nel suo concerto facendo tutti i brani di Baglioni insieme, poi la raccolta QPGA dove ci sono tanti ospiti e con lui abbiamo collaborato nel brano “Se guardi su”. Al tour per i suoi 40 anni di carriera abbiamo riproposto “Reginella” che tra l’altro fa parte anche del nostro terzo disco. C’è insomma un legame molto forte con Baglioni. Scelgo quindi lui per la sua natura a 360 gradi, quella collaborazione ci ha segnato moltissimo (nel senso positivo del termine). Con Claudio inoltre ci sentiamo sempre, ci dà consigli, proposte, idee… è un amico. Lui poi ha partecipato da spettatore ad alcuni nostri spettacoli, ad esempio alcuni spettacoli al Sistina con Pino Insegno. Ricordo che curavamo la parte musicale noi e lui era entusiasta del nostro lavoro, e voleva addirittura fare un disco con la Bag Music contenente le soundtrack del nostro spettacolo teatrale, una proposta partita da lui. Poi non l’abbiamo realizzata perché distratti da mille altre cose e progetti in contemporanea. Questo per dirti quanto lui sia attento anche a cose degli altri, è davvero una persona generosa. Anche agli altri festival da lui organizzati dava spazio anche agli altri artisti, agli ospiti, e così non a caso c’è stata la sua trasformazione in direttore artistico del Festival di Sanremo… Essere anfitrione, padrone di casa delle sue manifestazioni musicali, è nella sua natura.


Quale tra i brani inediti del nuovo album “Quattro” (esclusa “I giardini d’Alhambra”) e quale tra le due cover presenti nel disco vi rappresenta di più?

E’ difficile dirlo. E’ un lavoro di èquipe, non ci sono solo brani miei ma anche di mio fratello Delio Caporale, anche Daphne Nisi ha scritto delle cose, ad esempio un brano in inglese, “Find me”. Ci sono nature diverse nel modo di scrivere perché in un progetto come il nostro dove tutti si sentono parte creativa debba un po' rappresentare le varie anime. Non c’è una linea unica, per cui non saprei scegliere. Forse “Quattro” ha una valenza in più, perché parla anche un po' di noi. A un certo punto infatti dice “quattro siamo noi”, quindi parliamo un po' dei Baraonna in quel momento. Un po' autoriflessivo come pezzo. E poi è un brano sul quale stiamo lavorando per fare un video divertente che sarà, appena usciamo dalla quarantena, il nostro prossimo progetto, diciamo (anche se l’home video già esiste ed è presente su YouTube). Quindi forse “Quattro”.


Per quanto riguarda l’attività teatrale, in questo periodo di pausa a causa della pandemia da Covid 19, nonostante tutto il teatro non si sta fermando attraverso modalità come gli spettacoli da casa, con applicazioni utilizzate generalmente per webinar e videoconferenze. Cosa consiglieresti ad un giovane nell’avvicinarsi al mondo del teatro?

Guarda, ti rispondo con un po' di conflitto di interessi, nel senso che io sono il direttore di un’accademia di teatro che si chiama Teatron Accademia Professionisti Spettacolo. In generale posso però dire che studiare potrebbe essere una grande opzione, una grande possibilità, perché poi molti dicono “oggi si va avanti per conoscenze, per amicizia, per appoggi politici, raccomandazioni”. Sì, tutto vero, ma se uno studia se la gioca con le sue carte, cerca di fare il massimo che può fare in maniera pulita. Lo studio significa rafforzare sé stessi e giocarsela, a prescindere dalla politica dello spettacolo. Per cui una cosa che posso consigliare a un giovane è di studiare, costruire se stesso in maniera più solida, più ampia, capendo che fare spettacolo significa anche essere degli operatori culturali, quindi essere persone che conoscono la storia dello spettacolo, del teatro, della musica. E aver visto delle cose, perché come ampiamente detto noi siamo dei nani sulle spalle di giganti. Nel senso che siamo più in alto degli altri perché al di sotto di noi abbiamo dei giganti: se noi non conosciamo la nostra storia, il nostro passato, è difficile che riusciamo a dire qualcosa di diverso, qualcosa di più. Per cui seguite i corsi Teatron, lo dico a viso aperto: è una scuola seria, che non regala sogni, che non cerca scorciatoie, si studia dizione, recitazione, regia, danza, canto. Si dà forza a 360 gradi sulla figura del performer che ha bisogno di basi solide per fare questo mestiere. Quindi questo è il mio consiglio: studiate e divertitevi. Anche perché il momento della giovinezza, quando si costruisce questa fase per la nostra formazione, è il momento più felice della nostra vita, te lo dico dall’alto della mia età, ricordo i periodi di studio, della mia università, come un’epopea della mia giovinezza.


Progetti futuri?

Noi abbiamo intenzione di riprendere quello che abbiamo dovuto interrompere, cioè la promozione di questo disco che è fatta da tanto live, tante serate in giro per tutta Europa, perché noi amiamo portare la musica in giro per tutta l’Europa. Negli ultimi anni abbiamo lavorato a New York, tantissimo in Francia, a Dubai, per cui siamo in una visione della musica non italo-centrica, per noi un linguaggio che va al di là delle singole culture, interculturale. Per cui speriamo di poterli realizzare, li abbiamo già programmati, bisogna vedere quando si fermerà questa emergenza e quando si potrà tornare alla normalità e portare la nostra musica e il nostro progetto discografico ovunque sia possibile farlo. Sentiamo molto forte la mancanza dello spettacolo, prima ci sembrava tutto ovvio, scontato, adesso apprezzeremo ancor di più il fare spettacolo.

domenica 19 aprile 2020

LE INTERVISTE DI OPERAZIONE NOSTALGIA MUSICALE - Intervista a Davide De Marinis


Quinta intervista ufficiale per il nostro blog di Operazione Nostalgia Musicale! Abbiamo già intervistato questo artista il 7 Giugno 2018, in occasione dell’ultima puntata della seconda stagione del nostro programma radio, e lo abbiamo anche coinvolto indirettamente in un’importante tappa dello School Tour del 2018-19 per mezzo di un videosaluto per gli studenti. Si può quindi definire un grande amico di Operazione Nostalgia Musicale. Ha portato al successo brani di culto del periodo che va tra la fine degli anni ’90 e l’inizio dei 2000 come “Troppo Bella”, “Chiedi quello che vuoi”, “Gino” e “La Pancia”, partecipato a tre edizioni del Festivalbar e tre di Sanremo di cui una come cantautore e due come autore per Cattivi Pensieri e Toto Cutugno. Nel 2018 ha firmato l’attuale sigla di Domenica In “Amori della zia” e nel 2019 si è ritagliato un ruolo da protagonista nelle due trasmissioni di Rai Uno Ora o mai più e Tale e quale show (in quest’ultimo caso arrivando al torneo finale). E’ uscito di recente il video ufficiale del progetto benefico da lui ideato “Andrà tutto bene #iorestoacasa” (patrocinato dalla Nazionale Italiana Cantanti) che vede coinvolte 70 personalità del mondo dello spettacolo, dello sport e tanti altri campi. Lui è Davide De Marinis!




C’è questo progetto chiamato “Andrà tutto bene #iorestoacasa” patrocinato dalla Nazionale Italiana Cantanti in cui hai coinvolto più di 50 personalità del mondo dello spettacolo. Parlaci di questa tua idea.

Allora, intanto partiamo dalla copertina che mi piace un sacco. La copertina è stata disegnata dalla nipotina del grande Little Tony. Non ricordo l’età, forse 10, 9 anni… Questo perché all’interno del progetto c’è anche la Little Tony Family, Cristiana (la figlia di Little Tony) e suo marito. Il disco si chiama “Gli amici di Davide – Andrà tutto bene”. Un progetto nato in realtà all’inizio della quarantena, nato per un’opera di sensibilizzazione. A me piaceva sentire parlare tutti gli artisti in quel periodo, ad esempio sentivo gente come Fiorello dire cose come “Sai che ti dico? Io resto a casa, ma perché vado a fare l’aperitivo?”. E aveva preso piede quest’hashtag. E in quei giorni mi son trovato a canticchiare una mattina “io resto a casa, restaci anche tu”, e mi piaceva! Una cosa semplice, normale. Mi sono registrato la canzone e mi sono fatto anche legare su una sedia con la chitarra! (E c’è anche un video sulle mie pagine Facebook, Instagram…). Io cantavo e poi finivo questa piccola frase, e mi dicevo “se proprio dobbiamo restare a casa facciamoci legare”, visto che c’era gente in quel periodo che ancora usciva, ancora non si capiva cosa sarebbe successo. La seconda mattina mi sveglio, e mi viene in testa di raccontare cosa faccio io quando sto a casa. Utilizzo il tempo “per scrivere nuove canzoni, per leggere, dipingere, sognare e pensare a te…”, mi sono messo a scrivere così di getto. Il terzo giorno sembravo Pappalardo in bagno, davanti allo specchio uno tira fuori la carica, e io inizio a cantare “Andrà bene, andrà tutto bene”! Mi piaceva, tipo “valvola di sfogo”. Decido di registrare pure questo. Ho scritto poi il seguito “tutto passa, se stiamo insieme”. Ho messo insieme i tre pezzi e la canzone è fatta. A quel punto ho fatto sentire il brano intero subito ed è nata l’idea di provare a fare un video sempre di sensibilizzazione, io volevo dire solo di stare a casa in sostanza. Ma dato che dopo la realizzazione di grande qualità nonostante sia stata fatta da casa usando tutti i cellulari, il mio produttore Andrea Fresu e Federico Casarella, il nostro regista, ha fatto un video fantastico. E durante la realizzazione ci è venuta un’idea. L’Associazione ONLUS “Teniamoci per Mano” di cui il mio amico Francesco Vidoni è amico del presidente, ci ha proposto questa cosa: “Perché non ci date una mano con la canzone provando a comprare un respiratore per i bambini?” E in quel momento ho semplicemente detto “sì, facciamolo, perché no”. Con la Nazionale Cantanti, dove c’è la mia amica Titti Quaggia e Gianluca Picchini, abbiamo unito le forze ed è venuta fuori questa bella squadra. E mi piace l’idea di poter fare con la musica qualcosa di concreto. Il mio auspicio più grande è che questo respiratore non debba mai essere usato, o essere usato pochissimo per casi non gravi ovviamente, perché questo è un respiratore destinato ai bambini. Però è giusto che ci sia un respiratore in questo reparto e che piuttosto non si usi ma che si tenga lì nell’angolo, sempre pronto per l’emergenza. Ho accettato e da questa cosa sono nate tante belle iniziative, televisioni che hanno voluto parlare di questo progetto, che mi hanno ospitato e ringrazio tantissimo. Ringrazio Eleonora Daniele che mi ha inviato due volte già a Storie Italiane su Rai Uno, poi a tanti giornali che stanno prendendo le mie interviste nelle quali spiego il progetto e incito tutti ad andare a scaricare la canzone “Andrà tutto bene” sui digital stores perché il ricavato, quell’euro e trenta (perché abbiamo visto che Amazon lo vende a un euro e trenta) va per questa causa all’ospedale Dono Svizzero di Formia. La cosa bella è che non è stata premeditata, è una cosa che… Sai come quando c’è un domino, fai cadere la prima casellina, tutte cadono e si creano delle situazioni nuove, anche imprevedibili. Io alla prima intervista che ho fatto ho detto: “Avrei preferito non scriverla questa canzone!”. Non volevo scriverla, non stavamo inizialmente vivendo quello che poi abbiamo vissuto, con i tanti morti che purtroppo poi ci sono stati. Però diciamo che nella difficoltà e nel dramma questa cosa, perlomeno a me, ha aiutato tanto. Molte persone mi hanno scritto dicendomi che questo motivetto tira loro su il morale, che lo cantano spesso, che dà loro molta energia positiva. E’ un dare e un ricevere. Io questi quasi quaranta giorni che sono in casa li sto vivendo meglio anche perché ho sempre tante cose da fare inerenti a questo progetto ed anche ad altre cose mie. Però questo progetto mi sta dando tanta linfa vitale. Bisogna sempre rimanere positivi al 100%, anche se gli “alti e bassi” ci sono sempre, e anche il momento “basso” deve essere vissuto come un momento. Perché credo che la felicità e la serenità siano anche una scelta. Quindi scelgo di non assecondare il mio stato d’animo, e questa cosa qua, se lo fai con esercizio, con volontà, alla fine crea un modo, un’azione continua che ti fa stare più spesso su di morale che giù. Al di là di questa situazione, questa è la mia filosofia di vita da sempre e quindi mi piace affrontare la giornata sempre con il sorriso, cercando sempre di essere positivo. Poi possono capitare momenti “un po' così”, però sono momenti proprio piccoli.


Rimanendo in tema musica e in tema spettacolo, quest’autunno hai partecipato alla nona edizione di Tale e Quale Show riscuotendo un grandissimo successo. Parlaci di questa esperienza di Tale e Quale Show, quale è stata l’imitazione che ti è meglio riuscita e quella che ti ha più divertito?

Fantastica, un’esperienza fantastica. Allora, l’imitazione meglio riuscita sembrerebbe Vasco Rossi perché ho vinto la puntata. Se non sbaglio la quarta o la quinta. Poi ci sono state le tre puntate finali, quelle del “Torneo”. I migliori tre di Tale e quale dell’edizione 2019 sfidavano in altre tre puntate i migliori tre dell’edizione del 2018. Quindi ho fatto prima sei puntate con il mio gruppo storico con cui si è creata un’amicizia, con cui ho dei rapporti molto belli. Poi dopo le prime sei puntate c’è stato il torneo. Quella che invece mi ha divertito di più è stata Achille Lauro, quella più difficile J-Ax. Con J-Ax ho preso anche dei bei voti, ho fatto anche il balletto su “Ostia Lido”. Sono obiettivo: ho fatto un bellissimo Tale e Quale, pur non essendo un imitatore e non avendo mai fatto neanche imitazioni da ragazzino, sai, uno si diverte e non era una mia passione, e sono stato molto bravo, studiavo tantissimo, mi son messo lì, studiavo come se si fosse a scuola, perché per me è stato come una scuola. Mi alzavo alle 6 del mattino, andavo in Rai e tornavo la sera. Poi le prove col Maestro Pinuccio Pirazzoli, le prove di recitazione con Emanuela Aureli, balletto, trucco, facevamo quattro-cinque ore di trucco tre giorni su cinque. Tantissimo. Avevo la pelle tutta un po' rovinata, però poi dopo alcuni trucchi sono stati dei capolavori. J-Ax ad esempio era identico, sembravo lui. E soprattutto provare il suono di certi artisti non è stato facile ma con tanta volontà e tanta abnegazione ce l’ho fatta.


Tra l’altro, a proposito, Achille Lauro è anche un tuo omonimo perché il suo vero nome è Lauro De Marinis.

Eh sì! E pensa che c’è una curiosità particolare: mio nonno paterno si chiamava Achille De Marinis! Sembra una battuta ma è così! E quando mi sono rivisto su Rai Play mentre imitavo Achille Lauro mi rendevo conto che imitando certi personaggi come lo stesso Lauro, come Vasco Rossi, e anche Morandi (a me era piaciuto anche Morandi) non mi riconoscevo, pensavo “Guarda un po', quello sono io”. Paura a mille, quando entri in ascensore e sali su è tostissimo, son tutti bravi durante la settimana, ti coccolano, i coach ti seguono, hai degli assistenti che sono delle persone splendide, ti fanno sentire bene. In Rai sono dei grandi professionisti, non dico niente di nuovo. Carlo Conti è eccezionale, ci stimolava tutti, veniva sempre a salutarci, a tirarci su il morale, però poi quando entri nell’ascensore sei solo, ma sei proprio solo. Il momento in cui tu saluti e senti “allora, salutiamo Davide De Marinis e diamo il benvenuto a Vasco Rossi”, e tu il giorno prima (il giovedì) facevi le prove generali e registravi la pillola. Carlo mandava il tutto prima dell’entrata in diretta in scena, e quel momento lì è il più brutto. Il venerdì sera quando tocca a te e devi mettere il piede sull’ascensore. La sensazione che ho provato nell’essere da solo in quell’ascensore e l’ascensore inizia a salire è una roba che non auguro a nessuno, o meglio, a tutti quelli che vogliono fare uno spettacolo lo auguro, ma è tosto. Per me è una delle esperienze più toste. La prima rimane Sanremo. Io ho fatto anche Ora o mai più praticamente nello stesso anno di Tale e quale, nel 2019. Amadeus fortissimo, così come Fausto Leali che è stato il mio coach, ma non è paragonabile a Tale e quale. Perché a Tale e quale non sei più tu che canti, tu devi fare il personaggio assegnato, devi muoverti come lui, devi gesticolare, devi avere la voce come lui. Devi rimanere lo stesso intonato, devi leggere il testo, guardare le telecamere. Guarda, un lavorone! Però bello.


Tu hai citato il Festival di Sanremo. E, a proposito, dopo che lo scorso anno è caduto il ventennale di “Troppo Bella” e del tuo debutto al Festivalbar, quest’anno è il ventennale della tua partecipazione a Sanremo con “Chiedi quello che vuoi”. Come è nata l’ispirazione per questo brano?

Era una canzone che scrissi all’inizio di una convivenza, e allora avevo buttato giù queste parole. Mancava però il ritornello, il ritornello lo abbiamo trovato in studio con il mio produttore di allora e la canzone si fermava dopo la strofa inizialmente. Per me il ritornello era “Chiedi quello che vuoi, di giorno, di notte”. Poi è venuto fuori questo ritornello che diceva “fare castelli in aria…” e lo abbiamo messo in mezzo tra strofa e ponte, mancava l’inciso e la coda è diventata per l’appunto “Chiedi quello che vuoi, di giorno, di notte”. Però è nata come detto prima per l’inizio di una convivenza.


Tra l’altro gareggiando in una Categoria Nuove Proposte che vedeva tra i vari nomi in gara Tiromancino e Fabrizio Moro.

Era una bella annata. E’ stata una bellissima esperienza. Il mio sogno è ovviamente quello di tornare a Sanremo, io vorrei ricantare su quel palco ovviamente come Big perché per le Nuove Proposte sono diventato un po' grandino. Però mi piacerebbe tantissimo, credo che sia il sogno di tutti i cantanti.


Tornando a Tale e Quale Show e Ora o mai più, nella scorsa annata hai guadagnato anche una grossa fetta di pubblico giovane grazie alle tue partecipazioni alle citate trasmissioni, e lo dimostra anche il grande entusiasmo da parte degli studenti quando ho fatto quel videosaluto per il corso delle Giornate dello Studente del mio ex liceo, non so se ricordi…

Secondo me, se uno ha la possibilità di passare attraverso questi grandi programmi, queste grandi cose che la Rai fa e ne esci bene, perché il concetto è che devi comunque tirare fuori quello che sei. Ed uno dei complimenti più belli che ho ricevuto è stato questo che ti sto per raccontare. Ero a Roma, Ora o mai più l’abbiamo fatto a Milano mentre Tale e Quale a Roma, ma nel periodo di “Ora o mai più” ho dovuto fare delle cose a Roma e in quel periodo la popolarità era di nuovo bella fresca, sai, quando vai in televisione una volta a settimana, il programma fa quattro-cinque milioni di ascolti e la gente per strada per la maggior parte ti riconosce, e quelli che sono un pochettino più espansivi vengono a salutarti e a chiederti selfie e quant’altro. Cosa succede? Che scendo dal treno e una signora col marito, una coppia, si avvicinano e mi fanno: “ma tu sei… aspetta, aspetta, il nome… ma quanto sei simpatico!”. Non mi hanno detto “sei bravo”, “hai tante idee”, “come è il coach?”, no, mi hanno detto che sono simpatico. E questa cosa non me l’ha detta solo questa coppia, me l’hanno detta un sacco di persone che ho incontrato strada facendo in questi mesi. Ed è forse il complimento più bello. E forse è anche questo che arriva alle persone. Che sono uno della porta accanto. Uno normale che ama cantare e scrivere canzoni, e ogni tanto ne scrive alcune “troppo belle”, autocitandomi!


Cosa consiglieresti a un giovane nell’avvicinarsi al mondo della musica?

Consiglierei intanto di divertirsi, di farlo per sé stesso, di scrivere canzoni, cantare, per la passione di fare questa cosa. Perché sì questo stimolo, questa cosa è autentica, uno lo fa a prescindere dal fatto che possa diventare un lavoro e una passione, una rendita, quindi per prima cosa farlo perché ami questa cosa. Perché non ne puoi fare a meno, è come respirare, mangiare, dormire, sono quelle cose che devi fare perché sennò stai male. Se questa è la partenza, sei già su un’ottima strada. Se lo fai perché il fine è un altro, rischi magari anche di soffrire di più e magari di non arrivare. Quello che dovrebbe muoverci secondo me è sempre il piacere. Poi se il tuo piacere è anche quello di apparire, ci sta, non c’è niente di male, deve essere legato comunque al piacere di tutto il pacchetto, il pacchetto è completo. Allora insisti, credici e tira fuori tutto quello che hai e alla fine può essere che ce la fai.


Progetti futuri?

Appena usciamo, conto di tornare in studio e di finire un brano che sarebbe dovuto uscire in questo periodo, dovevo fare il video, poi sappiamo tutti cosa è successo. Ma di lavoro ce ne è da fare. E adesso mi concentro tantissimo su “Andrà tutto bene”, perché a questo punto voglio nel più breve tempo possibile l’obiettivo, cioè quello di aiutare a comprare insieme a tutte le persone che doneranno questo respiratore per l’ospedale Dono Svizzero di Formia. Ecco, questo è il mio obiettivo principale adesso. Il resto verrà. Però prima risolvo questa cosa e prima sarà un motivo in più per festeggiare la “Liberazione”!


Esatto, perché ci saranno due Liberazioni: quella del 25 aprile e quella dopo la fine del Coronavirus!

Anche tu sei agli arresti domiciliari. A te quanto ti hanno dato? (ridendo)


(Da qui nasce uno scambio di simpatiche battute tra me e Davide sulla “Liberazione dal Coronavirus”, dal quale siamo usciti morti dal ridere)

La copertina di "Gli amici di Davide - Andrà tutto bene #iorestoacasa"


martedì 14 aprile 2020

LE INTERVISTE DI OPERAZIONE NOSTALGIA MUSICALE - Intervista a Pino Marino


Quarta intervista ufficiale per il nostro blog di Operazione Nostalgia Musicale. E’ il turno di un cantautore e autore molto apprezzato dalla critica che in carriera si è aggiudicato diversi premi musicali (Musicultura 1995, Miglior cantautore dell’anno 2001 per il MEI, Miglior Autore a Sanremo 2005, Premio Lunezia Elite nel 2006 per citarne alcuni), scrivendo per e con artisti come Niccolò Fabi, Daniele Silvestri, Al Bano, Giorgia e Nicky Nicolai. E’ inoltre tra i fondatori dell’associazione culturale Apollo 11 di Roma da cui è nata l’Orchestra di Piazza Vittorio e del “Collettivo Angelo Mai”, punto di riferimento per la scena cantautorale romana e italiana. Quest’anno si celebreranno i 20 anni dall’uscita del suo primo album “Dispari”. Lui è Pino Marino!




Come ti sei avvicinato al mondo della musica?

Mi fai fare un salto indietro, eh? In assoluto, l’avvicinamento all’ascolto percepito, non mi ricordo più quando è accaduto. Non so dirti esattamente quale è stato l’innesco, probabilmente da piccolo in macchina con mio padre, mentre ascoltava le cassette Super 8, fra cui Ennio Morricone e diversi altri. Daterei invece l’incontro con la musica reale, quello che per me è il fare musica, a un incontro su via Giovanni Lanza a Roma, camminando davanti alle vetrine del negozio di pianoforti “Bontempi” vidi un pianoforte antico, di quelli intarsiati con le teste di leone. Rimasi a guardarlo per una mezz’oretta da quella vetrina e mi misi in testa che i primi soldi guadagnati li avrei concentrati per l’acquisto di quel pianoforte. Sono passati diversi anni da quel momento, ma non ho più trovato quel pianoforte disponibile. Effettivamente la prima cosa che ho fatto poi al primo guadagno è stata tornare in quel posto, conoscere i fratelli Bontempi che nel frattempo sono diventati amici e comprare un pianoforte usato da loro. Con quello ho iniziato a prendere lezioni, a studiare. Prima classico e poi il resto, e poi in seguito a scrivere canzoni. L’incontro con la musica reale per me è fisico, amore fisico con uno strumento. E da lì tutto quello che ho dovuto fare per inseguire la possibilità di acquistarlo. L’incontro musicale per me è fisico, quindi la prima cosa che mi è venuta in mente è l’incontro con quel pianoforte lì. L’incontro con la musica in realtà, quello non fisico, quello emotivo (e quindi legato all’ascolto), per noi non proprio più esattamente adolescenti si perde un po' nel tempo, si confonde, non ci si ricorda più esattamente quale sia stato esattamente l’innesco, il motivo, l’ascolto di quale cosa o la visione di quale cosa che ci abbia mosso. Invece in me rimane molto definito l’incontro fisico, quella cosa lì.


Negli anni ’90 è poi iniziata la tua carriera da cantautore ed autore, carriera poi iniziata nel 1996 e che ti ha portato a firmare due brani che hanno fatto parte della rosa dei Big del Festival di Sanremo, tutti e due entrati tra i primi 10 della classifica finale, che sono “E’ la mia vita” di Al Bano e “Strano il mio destino” di Giorgia.

Beh, considera che l’amore per il pianoforte mi ha portato per diversi anni a lavorare poi con i pianoforti, frequentando anche un laboratorio e diventando anche un restauratore di meccaniche di pianoforti, questo per parlare di fisicità e questo la dice lunga su quanto io intenda fare, più che pensare rispetto anche alle cose che in realtà non sono materiali come la musica, proprio come artigiano. E nel mentre lavoravo con una ditta importante, in realtà usavo il tempo per rimanere sul pianoforte anche la sera, a laboratorio chiuso, a negozio chiuso per scrivere canzoni. Andai da un editore. L’editore mi disse che quello che scrivevo era ancora un po' complicato e ci sarebbe voluto del tempo per trovare un pubblico per quelle canzoni, ma mi propose di diventare autore per qualcuno. Nel frattempo avevo già vinto il Premio Città di Recanati, Musicultura (nel 1995) con un gruppo nato al Folkstudio chiamato Pi.Ste.Da.Pi. con Danila Massimi e Stefano Rossi Crespi. A quel punto accettai questa “proposta al buio” dell’editore, che mi mise a lavorare con Maurizio Fabrizio. Maurizio Fabrizio è il compositore, per dirne una, di “Almeno tu nell’universo” per Mia Martini. Scrivemmo insieme questa canzone per Al Bano. Da lì è partito fondamentalmente il traghettamento a considerare quell’attività un lavoro. E arriviamo al 1996.


E da quel momento è iniziata una carriera costellata di premi per te…

Costellata anche di persone incontrate, diversi gruppi. Gente come Marco Siniscalco, Arnaldo Vacca, tanti musicisti incontrati in quegli anni… Lì ho cominciato a concepire le cose anche per me, tenendo sempre in parallelo l’attività di autore perché è molto interessante percepire cose non destinate a te. Ti fa muovere in un recinto diverso, ti permette di ampliare proprio la visuale. Nel 1997-98 è arrivato poi l’incontro con Pino Pecorelli e Fabrizio Fratepietro, attualmente ancora miei amici e collaboratori del mio primo disco chiamato “Dispari” (ci abbiamo lavorato insieme). Nel 1998-99 invece c’è stato l’incontro con Stefano Senardi, già presidente della PolyGram e varie altre cose, che mi propose un contratto di cinque dischi e da lì iniziammo con Pino Pecorelli e Fabrizio Fratepietro a lavorare a “Dispari” e via via ai dischi successivi.


Come è nata l’ispirazione per quanto riguarda la nascita dei brani dell’album “Dispari”?

Dispari in realtà vive, anzi gode, di una raccolta di canzoni, perché il primo disco è sicuramente il luogo, l’appartamento, il contenitore dove abitano canzoni scritte da un certo momento in poi. Mentre nei dischi successivi le canzoni ovviamente sono quelle che sono state scritte tra un disco e l’altro, il primo disco gode di una sorta di censimento e raccolta tra tutte le canzoni che ho iniziato a scrivere negli anni precedenti quell’occasione. Tra i brani di “Dispari” 3 o 4 saranno stati scritti a ridosso del contratto e nel corso della realizzazione mentre gli altri brani sono 7 o 8 canzoni che ho scelto tra quelle che ho cominciato a scrivere dal 1992 fino al 2000, anno in cui si è realizzato il disco. Quindi il criterio che ci siamo posti insieme a Davide Petrosino che lavorò alla produzione artistica e a Mauro Pagani (violinista di PFM, De André e tanti altri noi tra le altre cose), che collaborò alla produzione artistica facendomi registrare a Milano alle Officine Meccaniche, è stato quello di trovare un filo conduttore tra i brani scritti in quell’anno e gli altri scelti tra i brani scritti negli anni precedenti il disco. Questo perché da quel momento in poi ho sempre tenuto a considerare gli album come dei concept, anche in modo non feroce e non rigorosissimo. Però ho sempre considerato il titolo del disco il seme conduttore di tutta la narrazione, quindi in base a quel titolo che ho scelto sono stati stabiliti i brani scritti negli anni precedenti che avessero un gancio con il filo conduttore di quel titolo. Ed è nata da lì la scaletta che ha composto quel disco.


E’ stato un anno molto importante per te anche il 2005, principalmente per due accadimenti: il ritorno come autore al Festival di Sanremo per Nicky Nicolai e Stefano Di Battista e il passaggio alla casa discografica Radio Fandango di Domenico Procacci per la quale hai pubblicato il disco “Acqua luce e gas”. Parlaci di questa doppia esperienza di quell’anno.

Beh, a “Dispari” del 2000 segue “Non bastano i fiori” del 2003, un disco per me molto importante perché l’esperienza del primo disco è un’esperienza che subisci in qualche modo, perché è un privilegio, è un subire in privilegio, in quanto hai la possibilità di farlo ma non conosci minimamente alcun tipo di passo, alcun tipo di passaggio che quella possibilità comporta, quindi subisci un po' tutte le fasi. Mentre il secondo disco “Non bastano i fiori” del 2003, sempre condotto insieme a Fabrizio Fratepietro e Pino Pecorelli era proprio un passo liberatorio, o meglio: la consapevolezza di conoscere tutti i passi dalla creazione alla produzione, dall’uscita alla promozione, dal tour alle date, ai concerti con cognizione di causa maggiore e quindi con una serenità maggiore. Per rispondere alla domanda, arrivati nel 2005, la casa discografica di Stefano Senardi chiuse e quindi non potemmo insieme ottemperare al contratto di cinque dischi ma in un concerto venne a trovarmi Domenico Procacci, noto produttore cinematografico di Fandango, che nel frattempo si era appassionato al mio percorso, e si propose di essere lui a continuare questa possibilità di produzione. Accettai, strutturò un po' meglio la sua Radio Fandango, Senardi grazie a quest’occasione divenne un collaboratore di Procacci e della sua etichetta e lavorammo a quel disco non più con Pecorelli e Fratepietro ma con Andrea Pesce, già produttore e tastierista dei Tiromancino, un vecchio amico con cui fondammo insieme il Collettivo Angelo Mai. Ci lega un’esperienza molto lunga di amicizia e di collaborazione. Nel 2005 ci fu anche la richiesta di partecipazione a quel Festival di Sanremo, con un brano che poi vinse la categoria Gruppi, io presi questa famosa statuetta, il famoso “leone con la palma” perché quell’anno premiarono anche il “Miglior Autore”.


“Acqua Luce e Gas” entrò anche in nomination l’anno successivo al Premio Tenco per la categoria Miglior disco dell’anno…

Mi ricordo la cinquina: c’eravamo io, De Gregori con “Calypso”, Bersani, i Baustelle e Vinicio Capossela che vinse con “Ovunque proteggi” dominando la cinquina. Tra l’altro, per fare un passo indietro, conobbi Capossela registrando “Dispari” (stavo registrando a Milano nello Studio B delle Officine Meccaniche) e al di là del corridoio dello Studio A c’era Capossela che stava registrando con Pasquale Minieri e stavano registrando “Canzoni a manovella”.


Hai parlato poco fa dell’Angelo Mai. Quale è stata per te l’importanza del Collettivo Angelo Mai nello sviluppo della scena musicale romana dagli anni 2000 in poi.

Ci siamo resi conto negli anni a seguire di quanto sia stata importante quell’esperienza non a livello romano ma a livello italiano. Ho sempre creduto molto per istinto alla natura “collettivo”, cioè alla capacità e alla possibilità di rinunciare, indietreggiare di un metro rispetto a sé stessi, per poter vedere avanzare un’idea allargata. Infatti ancor prima del Collettivo Angelo Mai sono stato tra i primi fondatori dell’Associazione Apollo 11 e creammo con altre otto-nove persone l’Orchestra di Piazza Vittorio.


E mi hai praticamente anticipato perché avevo pronta anche una domanda sull’orchestra di Piazza Vittorio… visto che ci siamo parlaci anche di come è nata l’idea dell’Orchestra di Piazza Vittorio.

Guarda, in ordine cronologico ti parlo prima dell’Orchestra di Piazza Vittorio perché si tratta della prima grande esperienza di progetto di risultato collettivo. Tra i fondatori c’era Mario Tronco (già Avion Travel), Agostino Ferrente, che poi è il regista con cui girammo il film “L’Orchestra di Piazza Vittorio” e incominciammo in quel periodo all’Esquilino a cercare tutti quei musicisti che in realtà potevamo ammirare sotto i portici dell’Esquilino suonando in modo pazzesco diversi strumenti ma tutti musicisti che poi vedevi andare in fuga al primo lampeggiante della Polizia che girava nel quartiere, perché tutti o quasi senza permesso di soggiorno a disposizione. Quindi l’idea dell’organico fu proprio quella di riuscire a reclutarli tutti, selezionando anche il tipo di strumento e poter scritturare loro attraverso un contratto con una cooperativa e attraverso questo contratto di lavoro dar loro la possibilità di ottenere il permesso di soggiorno e lavorare stabilmente nell’orchestra. Da qui nacque la necessità di avere un luogo, perché senza luoghi le idee vanno perse, e quindi era necessario creare una casa per quest’orchestra e ci insediammo all’interno dell’Istituto Galileo Galilei con l’Apollo 11 (struttura che ancora c’è e ancora produce su Roma tante occasioni culturali) e da lì, nel giro di pochi anni, l’Orchestra di Piazza Vittorio ha avuto modo di viaggiare per conto proprio, abbiamo poi costituito la società che la tutelasse, e poi ormai l’Orchestra di Piazza Vittorio è diventata quello che è a sua volta creando orchestre a catena. Da lì nacquero diverse cose, e Pino Pecorelli che oltre a essere il mio contrabbassista fu il primo musicista intorno al quale creammo l’organico dell’Orchestra di Piazza Vittorio, e a sua volta poi negli anni ha fondato e tuttora guida la Piccola Orchestra di Tor Pignattara, che è una sezione giovanile di orchestra etnica, che raccoglie giovanissimi musicisti di ogni nazionalità per lo più residenti nel quadrante Tor Pignattara-Casilino-Prenestino-Pigneto. Poi, anni dopo, con Andrea Pesce fondammo il Collettivo Angelo Mai per istinto, perché nel convitto occupato di Via degli Zingari dove intervenimmo con un mio concerto per dedicare l’attenzione e qualche risorsa economica a un gruppo di persone che senza casa aveva occupato e abitava quell’antico stabile abbandonato e occupato, e da lì in poi abbiamo creato questa struttura, quest’organico di musicisti allargati che lì provava, studiava, componeva e nel giro di due anni abbiamo mosso un numero enorme di persone in città, arrivando anche a un grosso livello di attenzione e siamo riusciti a ottenere molte cose per queste persone, ma non ci siamo resi conto che stavamo ottenendo molte cose per quanto riguarda un nuovo aspetto di comunità musicale in Roma. Poi lasciammo quel posto in via degli Zingari e ci offrirono di spostarci in un altro luogo e Walter Veltroni ci affidò un pezzo di parco alle Terme di Caracalla (nel Parco San Sebastiano) facendo una vera e propria assegnazione, e da lì abbiamo lavorato tre o quattro anni, girando e facendo concerti con il Collettivo Angelo Mai, vendendo il nostro disco autoprodotto e con i soldi realizzati abbiamo cominciato a creare un teatro all’inglese all’interno del Parco San Sebastiano (nell’attuale sede) e dopo tre-quattro anni di lavoro siamo riusciti a insediarci in un nuovo luogo. E lì ci siamo poi resi conto che quel tipo di sonorità, quel tipo di modo di registrare, quel modo interattivo di scrivere, cantare e suonare contemporaneamente tutti, in breve tempo era arrivato all’attenzione di tanti artisti non soltanto romani ma italiani. Fra gli amici più stretti legati a quell’esperienza ci sono Manuel Agnelli e tantissimi altri. Tant’è vero che Rodrigo D’Erasmo, che era il violinista del Collettivo Angelo Mai, divenne poco tempo dopo il violinista degli Afterhours. Stessa cosa per Gabriele Lazzarotti, il nostro bassista che divenne il bassista di Niccolò Fabi e Daniele Silvestri, così come accaduto per Fabio Rondanini, uno dei due batteristi del Collettivo Angelo Mai, entrato a far parte anche dei Calibro 35 e degli Afterhours. Esempi che la dicono lunga su quanto in realtà quel gruppo di lavoro ha prodotto non soltanto un’idea nuova di realizzare, ma ha prodotto anche figure di spicco che hanno avuto modo poi di uscire da Roma e professionalmente collocarsi anche altrove.


Tra l’altro, a proposito di Daniele Silvestri e Niccolò Fabi, negli anni hai avuto modo di collaborare con entrambi. Per Fabi hai firmato uno dei suoi maggiori successi della sua carriera recente che è “Aliante”.

Con Niccolò c’è una grande amicizia, siamo molto diversi nel modo di rapportarci come è giusto che sia, ma in amicizia c’è sempre la possibilità di confronto. Un giorno, lavorando insieme, perché facemmo anche un tour insieme (c’era anche Roberto Angelini) in un periodo in cui il Collettivo Angelo Mai per questioni pratiche doveva star fermo, Niccolò ha pensato di aggregare al suo tour me e Roberto Angelini proprio come spalla integrante al suo concerto, sia come apertura che all’interno del live stesso e questo ci ha dato modo di continuare a parlare del Collettivo Angelo Mai anche andando in tour, e questo è stato un grande aiuto da parte di Niccolò in quel momento, da lì si è stretta non soltanto l’amicizia ma la cognizione del lavoro, e un giorno riflettendo con lui gli proposi questa canzone, anzi no, gli proposi l’idea perché lui tende a partire come firma, come cifra di scrittura a partire sempre da sé stesso come punto di osservazione. Mentre Daniele Silvestri, altro mio amico, è un autore diversissimo e si lancia su soggetti e prospettive diverse non sempre parlando di sé in prima persona ma variando tantissimo il suo punto di vista, Niccolò è uno che coerentemente a questa modalità usa sempre sé stesso come centro, come pallino del racconto. La mia proposta fu, per una volta, di provare a scardinare questo angolo funzionale per lui di partenza e parlare di altro. E “Aliante” (la musica è sua, il testo è mio) non è altro che il racconto della nostra amicizia. Dove lui è l’aliante elegante bianco che svolazza e io, in quel caso in direzione contraria (perché facevamo un viaggio diverso) e io il dirigibile. E questi due elementi aerei abbastanza somiglianti l’uno dall’altro secondo il mio punto di vista di quel momento, l’aliante e il dirigibile, si incontrano ciclicamente nel cielo e incontrandoli in quel momento si rendono conto che in realtà la lontananza in amicizia non è mai distanza e quindi si raccontano quello che avviene sotto di loro guardando il naso della gente che li guarda volare.


Due anni dopo è arrivata la collaborazione con Daniele Silvestri per l’album “S.C.O.T.C.H.”.

Guarda, più che l’album SCOTCH è successa questa cosa. Mentre Daniele scriveva e preparava il live di SCOTCH, Daniele mi disse che gli avevano proposto un concerto di canzone-teatro, o meglio teatro-canzone, in una rassegna a Caserta, nel Teatro della Rocca di Caserta Vecchia, un posto meraviglioso, dove ogni anno facevano questo festival particolare, e gli proposero uno spettacolo di teatro-canzone. Daniele, da amico che aveva appena assistito a un mio spettacolo che si chiamava “Il Concertacolo” in cui c’era molto testo, uno spettacolo teatrale dove in realtà la gente viveva un equivoco temporale, ci trovavamo tutti a vivere una cosa spostata nel tempo, cose già accadute, era un mio gioco sul tempo. Daniele poi vide la parte e mi disse: “Senti, perché non facciamo il tuo spettacolo, prendiamo quest’occasione di Caserta, magari mi inserisco anche io con delle canzoni mie e pensi a una regia che possa coinvolgere anche me e facciamo insieme questa cosa”. Nel giro di un mese ho messo su tutto questo prevedendo anche lui e la sua band e la cosa che è accaduta è che facendolo a Caserta in prima assoluta, i promoter da quel momento hanno cominciato a comprare quello spettacolo e quindi da una situazione che sembrava essere una tantum il tutto si è trasformato in un anno di tournée. Abbiamo organizzato nel corso dell’anno dall’Arcimboldi di Milano al Metropolitan di Catania una grande tournée per tantissimi teatri italiani con quello spettacolo teatrale e musicale che porta il titolo di “E l’inizio arrivò in coda”. Spettacolo estremamente divertente, tre ore di spettacolo folle e molto bello per chi ha avuto modo di vederlo in quell’anno. Abbiamo sempre nel cassetto con Daniele la voglia di riprendere il secondo atto di quello spettacolo con una nuova idea che ho già pronta, e sicuramente arriverà il momento in cui a sorpresa lo mettiamo su e tiriamo fuori il seguito di quella storia. E questo era contemporaneo a SCOTCH, infatti Daniele si trovò a una doppia tournée. In quello stesso anno aveva la tournée nei club per l’album SCOTCH e la tournée teatrale con me “E l’inizio arriva in coda”: un anno molto denso.


Qual è per te l’importanza del rapporto tra te e il teatro.

Vitale. Ti confesso un mio piccolo difetto di percezione nei confronti del cinema: da piccolo mi rifiutavo di vedere i film perché non riuscivo a far pace con questa cosa, con il come il film viene girato, con il prodotto del film ormai finito e proiettato in sala, potesse in realtà rimanere indifferente a quello che succedeva in sala, o meglio, pensavo “ma se in questo momento sparano a uno nella quarta fila o semplicemente scappa uno in seconda fila o crolla il tetto del cinema questo film ma avanti lo stesso, l’attore dice sempre la stessa battuta e tutto va avanti indifferentemente”. Questa mia concezione folle mi ha messo nella condizione di vedere molto meno cinema e molti meno film e cercarmi molto di più le situazioni in cui tutto potesse essere in realtà suggestionato e messo anche in crisi oppure esaltato da questioni più vive. E quindi il teatro mi ha affascinato molto di più. Mi ricordo lo spettacolo con Dario Fo e Franca Rame, “Il papa e la strega” mi sembra di ricordare, in cui vidi quattro repliche di fila perché mi incuriosiva questa dinamica di proporre tutte le sere la stessa cosa che poi in realtà non è mai la stessa, perché cambia umore e clima ogni sera. Durante la terza serata qualche tecnico lasciò una lattina di Coca-Cola su una specie di balconcino finto presente nella scena. A un certo punto appare questa Coca-Cola che evidentemente nella lavorazione, nell’allestimento, nel tirare la scena, nel preparare tutto lo spettacolo, era rimasta lì. La lattina di Coca-Cola improvvisamente diventa per Dario Fo la possibilità di agganciare un’altra cosa, al pubblico di vivere quella nuova cosa, e improvvisamente una semplice lattina di qualche centimetro aveva completamente spostato una scrittura per poi tornare nella scrittura. Questo è per me rimasto il vero principio fondante della condivisione dell’evento mobile, dell’evento vitale, del mio rapporto con il teatro. Poi negli anni sono rinsavito e ho anche incominciato a vedere in ritardo un bel po’ di film perché ho fatto pace con il fatto che ci potesse essere anche qualcosa che in realtà se ne fregasse di noi e andasse avanti comunque liberamente perché già così concepita per sempre.


Questo periodo di quarantena per tutti noi è anche un po' un periodo di pausa e di riflessione per gli artisti. Ma tu non ti sei fermato e hai inventato anche delle nuove rubriche come per esempio l’ “In a Meter Show” che ogni giorno svolgi su Instagram. Parlaci di questa tua idea.

C’è una cosa che mi ha colpito molto, un’altra collaborazione, l’ultima nata in ordine cronologico ma molto fondata, che è una collaborazione con Vinicio Marchioni, attore nato da Romanzo Criminale ma poi in realtà ha studiato molto in teatro. Mi propose di scrivere le musiche per un suo pallino. Lui voleva mettere in scena lo Zio Vanja di Cechov, erano quattro anni che lavorava a quest’idea, me ne ha parlato e ho scritto le musiche originali per questo spettacolo e lavorando proprio all’allestimento (poi in questi anni abbiamo fatto nei tempi recenti una tournée terminata a marzo, abbiamo fatto I Soliti Ignoti, con lui alla regia e io alle musiche originali, e ci siamo fermati per via della pandemia, avevamo fatto sessanta date e le ultime venti sono sfumate per colpa della pandemia) ho scoperto quanto fosse importante per Cechov anche nell’indolenza dei suoi personaggi questa lentezza di questi personaggi che in realtà non pronunciano mai cose fondamentali, ma anzi quanto fosse importante per lui fare più che dire, più che pensare di essere qualcosa, più che tentare di far credere agli altri chi uno è. E questa cosa del “fare” mi è rimasta molto presente. Nel momento in cui il “fare” ci è stato proprio decapitato perché per noi che facciamo della mobilità e dell’incontro sociale il nostro vero lavoro (è vero che noi passiamo le nottate a scrivere e a concepire, ma tutto questo diventa reale e compiuto grazie alla mobilità, al transito e alla socialità, che sia il concerto, che sia lo spettacolo, che sia la riunione, l’intervento, la masterclass, l’incontro con le scuole o con le università), mi è venuto a galla questo concetto di Cechov e ho pensato “bisogna fare, tutto il resto è roba che va e viene”. Bene, che cosa faccio? Siccome il decreto attualmente in vigore prevede la distanza di un metro, la prima mattina dopo il lockdown penso “che cosa posso fare in un metro? Qual è l’ambiente reale che misura un metro?”, sedendomi in bagno la mattina mi sono reso conto che dal mio water alla parete di fronte c’è esattamente un metro. E quindi quello è diventato il palco e lo scenario in cui ogni mattina produco qualcosa di un minuto, perché 59 secondi rientrano nella possibilità di caricare qualcosa su Instagram senza essere interrotti, e tutte le mattine ininterrottamente da quel giorno (e procederemo finché ce ne sarà la necessità) faccio. Il fare comporta questa cosa, comporta apparentemente un dispendio perché non smetti anche di pensare cosa fare, ma il fare ha in sé un germoglio continuo di fare altro. Quindi non è detto che questa cosa non ne diventi un’altra nel momento in cui speriamo presto cesserà questa costrizione.


Progetti futuri?

Il primo in ordine assoluto è il nuovo disco, la pubblicazione del nuovo disco a 20 anni dall’uscita della prima pubblicazione, quindi quest’anno ho pronto un disco di cui è stata rallentata la realizzazione perché quando è partito il lavoro che ci hanno commissariato da Napoli per la realizzazione, per la prima realizzazione mondiale perché nessuno l’aveva mai fatto prima in teatro (I soliti ignoti) e quando Vinicio ha iniziato a lavorare alla regia e io alle musiche abbiamo iniziato a impiegare due-tre mesi di lavoro alla tournée che in origine come detto prima comprendeva ottanta date e ne abbiamo fatte sessanta fino al blocco dei primi di marzo, e quindi abbiamo rallentato un po'. Come ci siamo fermati per questa cosa, mi sono riprecipitato in studio con Fabrizio Fratepietro a scrivere i brani mancanti per la realizzazione del nuovo disco. Ora siamo in difficoltà anche in questo senso perché ci siamo dovuti fermare anche con lui a causa dello studio chiuso e varie altre cose. E quindi i progetti futuri sono: uscire con un singolo, mi auguro per maggio di farcela, un singolo per me importante con un videoclip per me importante con un regista che stimo molto, siamo pronti per farlo a maggio e nel periodo estivo fra maggio e giugno chiudere definitivamente le parti mancanti e mixate al disco ed essere pronti per uscire mi auguro per settembre-ottobre. Questo è il progetto principale, poi come già detto, ho sempre tantissime cose parallele, ma vorrei concentrarmi su questo progetto anche per rispettare il ventennale, che vorrei omaggiare in questo modo perché non è detto che sia proprio dovuto riuscire a fare vent’anni di carriera.