martedì 24 marzo 2020

LE INTERVISTE DI OPERAZIONE NOSTALGIA MUSICALE - Intervista a Roberto Cardelli


Dopo aver intervistato i Jalisse la scorsa settimana, è giunto il momento della seconda intervista per il nostro blog di Operazione Nostalgia Musicale. Ha iniziato la sua carriera nel mondo del calcio, giocando nelle giovanili della Lodigiani (tra i suoi compagni di squadra c’era Francesco Totti) e per alcuni mesi in quelle del Milan, dividendosi tra sport e musica, per poi lasciare il calcio a soli 17 anni dedicandosi completamente all’attività musicale, come tastierista, autore e produttore. Alcuni degli artisti con cui ha collaborato in carriera? Fabrizio Moro, Ermal Meta, Patty Pravo, Franco Califano, Emma, Alessandra Amoroso, Fiorella Mannoia, Francesco Sarcina, Noemi, Lorenzo Fragola, Chiara Galiazzo. In alcuni casi contribuendo anche a grandi successi. Vanta due vittorie al Festival di Sanremo, una nei Big (produttore per “Non mi avete fatto niente” di Ermal Meta e Fabrizio Moro) e una nelle Nuove Proposte (“Il linguaggio della resa” di Tony Maiello), e un secondo posto nelle Nuove Proposte nel 2008 come tastierista de La Scelta, oltre a tanti altri ottimi risultati. Lui è Roberto Cardelli!




Innanzitutto, come ti sei avvicinato al mondo della musica?

Parto col dire che io inizialmente facevo il calciatore. Ho giocato molti anni a calcio a livello professionistico nella Lodigiani, squadra romana molto famosa all’epoca, sono stato compagno di squadra per svariato tempo di Totti quando eravamo piccoli. Nel frattempo mi ero appassionato anche alla musica grazie a mia madre, che nel 1988 acquistò il primo CD di Tracy Chapman che mi fece avvicinare alla musica. Oltre a Tracy Chapman ascoltavamo anche gruppi come gli Europe, i Bon Jovi. Proprio “The Final Countdown” degli Europe fu il brano che fece definitivamente scoccare la scintilla tra me e la musica. Mi incuriosii nel sentire di che strumento si trattasse, non sapevo cosa fosse: abitavo vicino lo storico negozio “Cherubini”, mi presentai al negozio con il CD chiedendo che strumento fosse e mi venne risposto “un sintetizzatore”. E da lì decisi di iniziare a suonare le tastiere. Probabilmente se al posto del sintetizzatore nel brano che più di tutti mi ha fatto innamorare della musica ci fosse stata una chitarra, avrei iniziato a suonare la chitarra! E da lì mi sono appassionato anche ai Pink Floyd e a tanti grandi nomi della musica internazionale, per poi iniziare successivamente ad apprezzare la musica italiana dopo tantissimi anni di musica internazionale. La fascia di età della mia generazione era composta, per quel che riguarda noi musicisti, da ragazzi che a fine anno facevano il concerto di scuola e si facevano le canzoni serie, non quelle che si sentono adesso. Suonavamo i Van Halen, i Guns’n’Roses, gli U2, adesso si suonano canzoncine.


Guarda, in realtà non è sempre così, perché ci sono tante band di adolescenti che suonano molti di questi classici rock internazionali…

Sì, ce ne sono, ma non come nella nostra generazione. Noi andavamo a scoprire la musica di una volta. Oggi se parli ad esempio di un Battisti, molti ad esempio non sanno chi è, mentre noi già conoscevamo nomi come lo stesso Battisti, Dalla, i Beatles, i Rolling Stones, mentre oggi molti ragazzi non conoscono niente di tutto questo. E ti parlo circa del 90% almeno (quando negli anni ’80 i ragazzi che non conoscevano la musica del passato erano il 2%), sto in questo mondo, quindi conosco i ragazzi… I ragazzi conoscono la trap, questa roba qui…


Devo dirti per esperienza personale che come ho già detto non è sempre così: io con Operazione Nostalgia Musicale tengo degli incontri nelle scuole superiori di tutta Italia per il progetto “Operazione Nostalgia Musicale School Tour” in cui mostriamo videoclip di grandi successi del passato di tutti i generi, e alla fine tornano sempre a casa ultracontenti riascoltandosi i pezzi che propongo.

Sì, ma io ti sto parlando di una mia opinione basata su quello che vedo dal punto di vista del mercato e dei numeri di mercato, che dicono che i ragazzi ascoltano ben altro e sappiamo quello che ascoltano. Probabilmente quando io ero giovane nomi come gli Europe, gli U2 e i Bon Jovi erano considerati mondezza dalle generazioni passate, oggi per me quello che molti giovani ascoltano è mondezza. Per dire, quando io ero giovane c’era gente che proponeva dal vivo “Nothing Else Matters” dei Metallica, noi ridevamo un po' e dicevamo “ancora Nothing Else Matters? La fanno tutti!” ma parliamo di un’opera d’arte. Oggi si considera opera d’arte roba spicciola, perché di quello si parla. Pensa che su YouTube ci sono dei video che fanno vedere ragazzi di una tristezza unica. Sia bello che triste. Ci sono dei ragazzi di 24 anni circa che ascoltano per la prima volta “Another brick in the wall” a 24 anni. E rimangono stupiti. E’ una vergogna, una cosa vergognosa. Pensa ai bambini di 9 anni di oggi: io sono cresciuto con dischi come “The Wall”. Quando avevo 4 anni mia madre aveva i vinili, oltre che dei Pink Floyd, di Bob Marley, dei Beatles, adesso non oso immaginare cosa ascoltano adesso i bambini di 10 anni… Per uno come me che ha studiato cose stupende, che hanno fatto la storia della musica, dagli anni ’60 fino ad oggi. Adesso ho smesso perché quello che c’è adesso è inutile studiarlo! Poi ci sono anche molti ragazzi, molti miei allievi che studiano con me pianoforte, che studiano con piacere anche musica anni ’70, ’80, ’90. Quel che penso è che molti ragazzi dovrebbero studiare, ascoltare tutta la grande musica che c’è stata prima di loro, perché la musica è cultura è arte, mentre oggi la musica è consumismo, quindi si tende ad ascoltare tutto quello che ci mandano.


Tornando al tuo passato calcistico, tu hai giocato anche nelle giovanili del Milan se non sbaglio…

Assolutamente sì, ho giocato otto mesi al Milan, poi ho avuto un incidente col motorino e sono dovuto tornare a Roma. Militando prima nel Cerveteri e successivamente tornando alla Lodigiani. Ho poi lasciato il calcio a soli 17 anni dedicandomi completamente alla musica, studiando e diplomandomi all’Università della Musica di Roma. Ho poi iniziato a fare il turnista, collaborando con artisti come Patty Pravo e Franco Califano, e da lì ho iniziato la carriera di musicista all’età di 21 anni.


Parlaci dell’esperienza di aver collaborato in età così giovane con artisti come Califano e la Pravo.

L’esperienza più bella è stata quella con Califano. Maestro dal punto di vista musicale, umano e umoristico e anche dal punto di vista della sua romanità. E’ stato fantastico: i ricordi che mi rimangono di Franco sono ricordi che mi fanno ammazzare dalle risate, ci siamo divertiti tantissimo. Ovviamente adesso non ce la farei a reggere un tour del genere. 80 date sparse in giro per l’Italia. Da un giorno all’altro Reggio Calabria-Torino, Torino-Brescia, Brescia-Santa Maria di Leuca… Da morire. Ma Franco con la sua verve non ci faceva pesare i viaggi. Era una persona molto rude e dura, non una persona morbida, ma quando faceva una battuta ti faceva ammazzare dalle risate. Ne faceva in continuazione, anche su di me… Il primo anno mi chiamava “Andrea” perché era il nome del suo ex tastierista. E ogni sera mi diceva: “Scusa Robè, ti chiamo Andrea perché ormai…” e io gli rispondevo “Va bene Frà, non c’è problema”. Ce ne sarebbero tanti altri di aneddoti da raccontare su Califano.


II calcio è una tematica molto gettonata nel mondo della musica. Parlaci della tua idea del rapporto tra musica e calcio.

Tra la musica e il calcio, io ho personalmente scelto la musica. Il calcio era una passione che avevo sin da piccolo perché qui in Italia si nasce col calcio. Quindi è anche un po' un fatto culturale nostro. Sono un grande appassionato di calcio e tifoso della Roma e vedere molti miei ex compagni di squadra arrivare in Serie A, come Roberto Stellone, Fabio Liverani, Francesco Totti, mi ha fatto un certo effetto. Soprattutto vedere Francesco arrivare a quel livello per me è stato un grande orgoglio. Io non ho mai invidiato nessuno dei miei compagni arrivati in Serie A, anche se io non ce l’ho fatta sia per motivi infortunistici (perché quando ti rompi una gamba a 16 anni ti sei praticamente giocato la carriera, adesso guariscono in 4 mesi, all’epoca ci mettevi cinque anni) sia perché alla fine ce l’ho fatta nel mondo della musica, creandomi uno spazio importante con tanti sacrifici e con tanta fortuna, perché ci vuole anche tanta fortuna a conoscere le persone al momento giusto.


E’ c’è una collaborazione che in questi anni ti ha portato tanta fortuna: quella con Fabrizio Moro.

Tutto è iniziato nel 2006, nel periodo in cui io facevo parte di una cover band di Vasco Rossi. Il nostro chitarrista suonava con Fabrizio Moro, ai tempi ancora non conosciuto. Sono andato a casa di Fabrizio Moro che all’epoca abitava vicino a me e ancora oggi abita vicino a me. Ci siamo conosciuti là e abbiamo parlato tutt’altro che di musica, ma di ipocondria: siamo ipocondriaci entrambi.


E la parola ipocondria è presente tra l’altro in uno dei maggiori successi di Fabrizio che hai scritto, che è “Portami via”…

Esatto, brano che abbiamo scritto insieme, dove io ho messo la musica e lui le parole (diciamo che nel nostro sodalizio lui è la penna e io il foglio di carta bianco), e quella è la parola che lega me e Fabrizio e insieme a noi anche il nostro amico Ultimo, siamo tutti e tre ipocondriaci!


Ci ritroviamo a parlare di ipocondria proprio nel giorno (l’intervista è stata registrata ieri) del compleanno di Franco Battiato che parla proprio di ipocondria in uno dei suoi più grandi successi, “La cura”.

Esattamente. In molti hanno “criticato” Portami via per via di quella parola, quindi la hanno definita molto simile a “La Cura” di Battiato, ma non si può assoggettare una singola parola a una singola canzone. Questo perché il brano non c’entra niente con “La Cura”: Fabrizio ha utilizzato questo termine nel testo perché lo rappresenta e rappresenta anche me. Tornando al rapporto con Fabrizio, insieme abbiamo scritto più di una ventina di brani, compreso quasi tutto l’ultimo album “Figli di nessuno”. Io mi dedico alla parte musicale dei brani perché nasco come produttore e musicista, sui testi dò qualche consiglio, ma li lascio fare agli autori, ai cantautori con cui lavoro, perché a sistemare il testo definitivamente ci pensano loro. Se vogliamo fare un esempio, io sono il Gaetano Curreri della situazione mentre il Vasco Rossi di turno scrive il testo!


Vasco che tra l’altro è uno dei tuoi modelli musicali italiani.

Sì, diciamo che lui, Venditti e Baglioni sono i miei artisti italiani preferiti, anche se ho apprezzato per tantissimo tempo anche Mango. Sembra strano ma ho apprezzato moltissimo anche lui. E’ stato uno dei primi a fare musica etnica all’avanguardia in Italia già nella seconda metà degli anni ’80, poi nei primi ’90 con l’album Sirtaki o con brani come “Mediterraneo” che sono passati alla storia. Mango è molto sottovalutato e non capito.


Tornando a Portami via, diciamo che il Festival di Sanremo 2017 è stato un po' il “tuo” Sanremo, un Sanremo da protagonista.

In realtà ho già fatto un Sanremo da protagonista, con la mia ex band, La Scelta, nel 2008. Ai tempi lavoravo con Fabrizio Moro e mi sono ritrovato con Fabrizio nei big e con la mia band nei Giovani. Nei big con una canzone chiamata “Eppure mi hai cambiato la vita” dove io ho suonato il pianoforte, nei giovani con il brano “Il nostro tempo”. Mentre registravamo con Fabrizio in attesa del Festival ci arrivò una chiamata e mi venne comunicato che avrei partecipato al Festival nelle Nuove Proposte. E’ stato stranissimo: lavorando insieme abbiamo fatto il Festival insieme anche se in categorie diverse. Centrando il podio in entrambi i casi: terzo con Fabrizio nei Big e secondo con La Scelta nei Giovani. E due anni dopo mi piazzai al primo posto nei Giovani con “Il linguaggio della resa” scritta da me insieme a Tony Maiello che l’ha anche interpretata e Fabrizio Ferraguzzo, attuale direttore artistico di X-Factor e con un ruolo importante alla Sony. Ma il Festival di “Portami via” è stato il più bello: io avevo due artisti, che erano Fabrizio Moro con un brano scritto insieme, ed Ermal Meta con cui ho prodotto l’album uscito quell’anno, Vietato morire. Tutti e due i brani si sono rivelati insieme ad “Occidentali’s Karma” tra i più popolari di quell’edizione. Poi c’era Giulia Luzi a cui ho prodotto l’album, ma il brano con cui ha partecipato a quel Festival in coppia con Raige (“Togliamoci la voglia”) era prodotto da Luca Chiaravalli. Su “Vietato morire” (la canzone) posso dire che Ermal la produsse completamente da solo, e stavamo aspettando il disco. Avevamo aspettative normali, e invece l’album volò in classifica a livello di vendite. Dopo i buoni riscontri dell’anno prima con “Odio le favole” e “A parte te”, con Vietato morire Ermal si è consacrato. E l’anno dopo, con il brano prodotto da me con Ermal e Fabrizio (“Non mi avete fatto niente”) abbiamo vinto ed è stato raggiunto l’apice. Ermal Meta e Fabrizio Moro personalmente non si conoscevano, e io li ho fatti praticamente conoscere, lavorando con entrambi. E il resto è storia. Lavorando con due artisti come Ermal e Fabrizio che sono così lontani ma così vicini allo stesso tempo, anche se in maniera diversa, perché sono due artisti totalmente diversi. Ed è bellissimo perché posso lavorare in modo diverso con tutti e due in base ai loro stili. Quindi mi occupo di parti musicali totalmente differenti tra loro per ciò che riguarda loro due.


Come è nata invece la collaborazione con Ermal Meta?

Lo conobbi durante la produzione dell’album di Chiara Galiazzo “Un giorno di sole”. Ermal si presentò in studio di registrazione e ci conoscemmo là. Tra una cosa e l’altra ci siamo rivisti un anno e mezzo dopo a casa sua, in estate, e abbiamo scritto tre brani, ossia “Una strada infinita” poi interpretato da Elodie, un brano divenuto qualche anno dopo un duetto tra Ermal e J-Ax (Un’altra volta da rischiare), e un brano poi finito nell’album del 2018 di Ermal “Non abbiamo armi” intitolato “Quello che ci resta”. Dopo questa settimana trascorsa a Milano non ci siamo più sentiti, finché non mi chiamò lui dicendomi “Roberto, mi dai una mano a fare il disco? Devo andare a Sanremo”. Io gli risposi: “Guarda, Ermal, mandami le canzoni e fammi sentire quello che hai, un conto è avere il brano di Sanremo, un altro è avere un progetto, mandami i provini e tutto quello che hai”. Ad essere sincero, io volevo e voglio molto bene ad Ermal trovandomi bene con lui, però volevo sentire tutto il repertorio del disco e non solo un singolo brano, perché sappiamo che un disco è importantissimo, non basta una sola canzone a Sanremo, devi avere un progetto dietro. Altrimenti solo con una canzone non ci fai nulla ed è fine a sé stessa. Mi mandò “Ragazza Paradiso” e “Piccola Anima”, io gli dissi “Ermal, domani vengo a Milano…” perché mi inviò due bombe nucleari e gli ho risposto “queste sono canzoni fortissime” e andai subito a Milano per produrre l’album “Vietato morire”. Oltre alla title-track, anche le due canzoni citate hanno avuto successo: Ragazza Paradiso è andata bene, Piccola anima non ne parliamo. Tra i singoli estratti c’è stato anche Voodoo Love, che io ed Ermal abbiamo scritto insieme (e successivamente è stato pubblicato anche un duetto con i Jarabedepalo), che però ha riscosso meno successo perché è un pezzo più particolare, più etnico, un brano che gli addetti ai lavori hanno apprezzato molto, un brano molto diverso da quello che era il tono dell’album. Sono quei brani che fanno bene nell’economia di un disco, e io sono stato molto contento che sia stato scelto come singolo. Ne valeva la pena: l’escalation è stata buona, perché i quattro singoli hanno tutti riscosso ottimi risultati.


Progetti futuri a livello musicale?

Abbiamo già iniziato il nuovo album di Ermal Meta, ma abbiamo interrotto perché con questo problema del Coronavirus io sono tornato a Roma e aspettiamo di ricominciare al più presto possibile non appena questo momento agghiacciante finisce.


C’è già qualche singolo pronto per l’uscita?

Eravamo andati avanti molto bene, stavamo andando avanti molto bene ma ci siamo interrotti perché è arrivata questa tempesta all’improvviso. Ci sono molti brani già pronti e già provinati ma per il Coronavirus ci siamo fermati e abbiamo deciso di interrompere i lavori.


Cosa pensi di questa situazione che si è creata per il Coronavirus?

La cosa più importante è che questa cosa passi soprattutto per la vita umana, che è la cosa più preziosa che c’è a prescindere dall’economia che è molto difficile da far ripartire, ma la cosa più importante è che la gente stia a casa e che salvaguardi sé stessa e soprattutto i propri cari. La cosa più importante è la vita umana e soprattutto la Natura: Madre Natura si sta ribellando e questo è un segnale. Vediamola così: i Poli si stanno sciogliendo, il Mondo si sta ribellando, Madre Natura si sta ribellando. Noi non siamo i padroni del mondo, il mondo è la nostra casa ma non ne siamo i padroni, noi siamo gli ospiti e pensiamo di esserne i padroni quando non lo siamo, e Madre Natura ce lo sta facendo capire.


venerdì 20 marzo 2020

LE INTERVISTE DI OPERAZIONE NOSTALGIA MUSICALE - Intervista ai Jalisse


Abbiamo pubblicato tante recensioni. Tanti articoli speciali. Tanti report. Tanti editoriali. Ma mai avevamo pubblicato un’intervista sul blog di Operazione Nostalgia Musicale: le interviste ce le siamo sempre conservate per la trasmissione radio. Ma c’è sempre una prima volta. E come primo nome da intervistare sul blog abbiamo scelto un grande nome. Il nome di un duo che in carriera si è tolto, tra le tante soddisfazioni, quella di vincere un Festival di Sanremo (nel 1997) e di piazzarsi ai primi cinque posti dell’Eurovision Song Contest, nell’ultima edizione che vide l’Italia partecipante prima del grande ritorno nel 2011. Non si sono mai fermati e hanno dimostrato di essere una coppia superaffiatata musicalmente parlando e anche (e soprattutto) nella vita: loro sono Fabio Ricci e Alessandra Drusian, meglio conosciuti come i Jalisse.





Martedì 17 Marzo è uscito il vostro nuovo singolo “Non aver paura di chiamarlo amore” insieme ai Teodasia. Parlateci di questo brano.

Fabio: Il brano nasce dal titolo della nostra commedia musicale “Non aver paura di chiamarlo amore”. Una commedia musicale che in realtà è un vero e proprio progetto teatrale itinerante di cui abbiamo messo in scena la prima data il 9 Febbraio e poi per ovvi motivi abbiamo dovuto rimandare. Abbiamo quindi utilizzato il titolo della commedia per crearci una canzone, perché noi sul palco raccontiamo chi siamo, cosa facciamo della nostra vita sul palco e in casa, con l’augurio di comunicare al nostro pubblico di non aver paura di comunicare i propri sentimenti e di raccontarsi. E’ nato quindi il testo della canzone e di conseguenza anche la musica. Abbiamo quindi deciso di contattare una band metal, questo grazie a Mariano Borrelli, nostro collaboratore con il quale abbiamo messo su una sorta di ricerca su Facebook delle band metal del nostro territorio. Ci hanno segnalato i Teodasia, questa band che ha alle spalle più di dieci anni di concerti anche a livello internazionale: li abbiamo sentiti, ci sono piaciuti molto anche come persone, ci siamo ritrovati in studio a creare arrangiamenti adatti, noi nel nostro mondo pop elettronico e loro nel loro mondo metal. Con molta serenità abbiamo tentato quest’esperimento che però sta dimostrando di essere oltre le nostre aspettative ed è uscito fuori un prodotto che non ci aspettavamo essere così particolare ed intenso.


E avete quindi dato anche un tocco un po' più rock al brano grazie alla collaborazione con i Teodasia…

Fabio: Guarda, in realtà per chi ci conosce bene abbiamo spesso aggiunto elementi di rock alle nostre produzioni (anche la stessa Fiumi di parole contiene elementi tipici del pop-rock internazionale del periodo in cui è stata pubblicata). Basti pensare a brani come “Sei desiderio” del 2005 o “Tra rose e cielo” del 2013, pezzi con delle zampate un po' più “aggressive”, che strizzano l’occhietto alle sonorità di gruppi come i Linkin Park, con tanta grinta e tanta potenza. L’idea di lavorare con un gruppo metal però ci mancava, volevamo da tempo metterla in pratica e questa è stata l’occasione. Abbiamo quindi realizzato un nostro sogno che avevamo da tempo.


Oltre la promozione di questo nuovo singolo ci sono anche nuovi progetti all’orizzonte per voi?

Alessandra: Noi già all’inizio di quest’anno abbiamo debuttato in teatro con la nostra commedia musicale, intitolata proprio “Non aver paura di chiamarlo amore”. Abbiamo fatto due spettacoli in quel di Padova e nel frattempo ci stavamo preparando anche per un musical chiamato “Nine to Five”, all’interno del quale io e Fabio reciteremo delle parti molto particolari. Dovevamo debuttare il 7 e 8 Marzo, poi è slittata al 20-21 e adesso aspetteremo tempi migliori per andare in teatro. E nel frattempo non disperiamo perché c’è un’estate intera davanti, ritornerà anche il nostro tour che cambia nome in “Ora 2020” dove andremo in giro per le piazze, sempre con la speranza che al più presto venga debellato tutto questo, perché ci sta tenendo in gabbia a tutti. Ogni tanto devo disintossicarmi dalle notizie negative che i giornali e i telegiornali ci stanno dando in questo periodo, ma mi basta andare a far la spesa per rendermi conto della realtà del nostro Paese e del paesino in cui viviamo. E’ una situazione disperata. Cerco di mettermi nei panni e ripensare a questi poveri dottori, infermieri, volontari che si stanno dando da fare ma immagino che il lavoro che ogni volta fanno sia infinito e a loro va il nostro ringraziamento più grande perché stanno dando anima e corpo a noi italiani.


Fabio, tu cosa pensi del periodo che l’Italia sta vivendo?

Fabio: Ci stiamo scoprendo un po' più tolleranti perché stiamo in casa, stiamo affianco ai nostri cari, stiamo con le nostre compagne e compagni, con i nostri figli, con i nostri parenti, con i nostri animali (per chi può ovviamente). Immagino invece quanta sofferenza provino le persone che abbiano figli o parenti da soli in ospedale perché non possono assisterli (chiaramente non è possibile). E’ un momento di grande sofferenza, un momento di grande attenzione dove chi riesce, chi è in casa (noi siamo fortunati perché siamo tutti in casa, abbiamo un piccolo giardino e riusciamo a stare nel nostro intimo) è invitato a tirar fuori il proprio coraggio e noi abbiamo tirato fuori il nostro coraggio anche facendo concerti in streaming, noi abbiamo fatto un concerto in streaming raccogliendo fondi per l’Ospedale Niguarda di Milano. E’ un modo di poter reagire e cercare di trovare le strade giuste. Pensiamo però anche a quanti si stanno adoperando senza fine e senza un attimo di respiro, come anche gli autotrasportatori. Noi spesso pensiamo ai medici, alla polizia, ai volontari, agli infermieri, ma anche gli autotrasportatori che ogni giorno ci forniscono la materia prima trasportandola nei posti più lontani e attraversando strade deserte da soli correndo e darsi da fare. Un pensiero va all’Italia responsabile, l’Italia che si muove e che ha voglia di fare e di uscire subito e presto da questa situazione di difficoltà enorme. Il monito va invece a quelle persone che non capiscono, che non temono il pericolo e che non hanno capito che non è un gioco, che non servono bravure o goliardate o esibizionismo. Serve l’idea di curare noi stessi e curare gli altri che possono creare problemi ad altri ancora. E’ un effetto domino che dobbiamo fermare prima che diventi sempre peggiore.


Ci sono state tante manifestazioni di solidarietà nel mondo della musica, in particolar modo della musica italiana, per stare vicini al nostro Paese, come per esempio quella della “Radio per l’Italia” consistente nella trasmissione in contemporanea alle ore 11 da parte di tutte le radio dell’Inno di Mameli e di tre brani che hanno fatto la storia della canzone italiana. Cosa pensate dell’iniziativa?

Fabio: E’ fantastica, spero ci sia anche Fiumi di parole! Scherzi a parte, è una bellissima iniziativa, basata sull’idea di trovarci tutti sotto un unico tetto, quello della bandiera tricolore, ci dobbiamo trovare avvolti sotto quest’unica nuvola che gira e che ci coinvolge tutti che è quella del cuore e dell’amore. Dobbiamo quindi cercare di sfruttare tutte queste potenziali iniziative che ci sono d’aiuto anche perché entriamo nelle case facilmente attraverso lo streaming, la radio, la televisione… Complimenti agli ideatori perché così non siamo soli noi e non facciamo stare solo chi ascolta.


I Jalisse e la famiglia. Qual è il rapporto tra voi intesi come coppia e i valori della famiglia?

Alessandra: La famiglia è il valore fondamentale su cui noi abbiamo basato la nostra vita fin da quando ci siamo conosciuti nel lontano 1990, quindi la nostra speranza primaria era quella di creare una famiglia e avere figli (oggi abbiamo due figlie) e portare avanti i valori che ci hanno portato i nostri genitori. Oggi come oggi è quindi importante e fondamentale avere questi pilastri, questi macigni importanti e pesanti perché devono pesare ma li devi sentire. Devi sentire addosso questi valori e devi sentire che esistono, devono entrarti dentro in tutto e per tutto soprattutto in un momento così importante. Il tutto attraverso altri valori come l’altruismo, l’amore verso il prossimo nei confronti di noi stessi e quindi il rispetto e l’unione. Tutte queste cose devono essere forti dentro di noi, per questo devono essere macigni, perché devono essere belle integrate dentro di noi.


Considerate anche i vostri fan e i vostri fan club una famiglia?

Alessandra: Noi li consideriamo una “tribù”, infatti i nostri fan club si chiamano “tribù” seguiti dal nome della città di appartenenza. Da Varese a Lodi, da Reggio Emilia fino ad Ostia e Catania, per dirne alcuni. Sono molto attivi sul web e sui social e si stanno dando da fare per sostenerci, l’hanno sempre fatto e ora ancora di più. Perché “Tribù”? Perché noi nel ’97 abbiamo fatto un album chiamato “Il cerchio magico del mondo” dove le nostre canzoni prendevano spunto dalle simbologie e dal pensiero dei Nativi americani. Ci siamo quindi sempre considerati una tribù, una tribù ha cose semplici tra le mani, ha pensieri puliti e non ha offese nella testa, sempre una parte positiva nel proprio pensiero, una grande unione. In una tribù non c’è nessuno che pensa a sé stesso, in una tribù tutti pensano alla tribù. Rispetto anche per Madre Natura perché i Nativi americani rispettavano fondamentalmente “Madre Terra” e quello che Madre Terra dava alla propria tribù. Mai dare troppo, solo il necessario: questa la filosofia dei nostri fan club.


E’ all’orizzonte un nuovo album contenente, tra le altre cose, la stessa “Non aver paura di chiamarlo amore” e la cover di “Cavallo bianco” dei Matia Bazar?

Fabio: Guarda, questa è un’anticipazione che ancora non possiamo dare perché ci stiamo lavorando, stiamo chiudendo l’album e mancano ancora poche cose. E’ ancora un segreto. Posso dire però che sarà un album fatto in casa, per far capire come in casa passano il loro tempo e raccontano sé stessi attraverso quello che accade, pescando anche un po' nella memoria e in tutto quello che succede. Sicuramente saranno tutti inediti, non ci saranno cover (la cover di Cavallo bianco è un singolo a parte). Più che inediti sono tutti pensieri e riflessioni fatte in questo periodo declinate in musica.