martedì 14 aprile 2020

LE INTERVISTE DI OPERAZIONE NOSTALGIA MUSICALE - Intervista a Pino Marino


Quarta intervista ufficiale per il nostro blog di Operazione Nostalgia Musicale. E’ il turno di un cantautore e autore molto apprezzato dalla critica che in carriera si è aggiudicato diversi premi musicali (Musicultura 1995, Miglior cantautore dell’anno 2001 per il MEI, Miglior Autore a Sanremo 2005, Premio Lunezia Elite nel 2006 per citarne alcuni), scrivendo per e con artisti come Niccolò Fabi, Daniele Silvestri, Al Bano, Giorgia e Nicky Nicolai. E’ inoltre tra i fondatori dell’associazione culturale Apollo 11 di Roma da cui è nata l’Orchestra di Piazza Vittorio e del “Collettivo Angelo Mai”, punto di riferimento per la scena cantautorale romana e italiana. Quest’anno si celebreranno i 20 anni dall’uscita del suo primo album “Dispari”. Lui è Pino Marino!




Come ti sei avvicinato al mondo della musica?

Mi fai fare un salto indietro, eh? In assoluto, l’avvicinamento all’ascolto percepito, non mi ricordo più quando è accaduto. Non so dirti esattamente quale è stato l’innesco, probabilmente da piccolo in macchina con mio padre, mentre ascoltava le cassette Super 8, fra cui Ennio Morricone e diversi altri. Daterei invece l’incontro con la musica reale, quello che per me è il fare musica, a un incontro su via Giovanni Lanza a Roma, camminando davanti alle vetrine del negozio di pianoforti “Bontempi” vidi un pianoforte antico, di quelli intarsiati con le teste di leone. Rimasi a guardarlo per una mezz’oretta da quella vetrina e mi misi in testa che i primi soldi guadagnati li avrei concentrati per l’acquisto di quel pianoforte. Sono passati diversi anni da quel momento, ma non ho più trovato quel pianoforte disponibile. Effettivamente la prima cosa che ho fatto poi al primo guadagno è stata tornare in quel posto, conoscere i fratelli Bontempi che nel frattempo sono diventati amici e comprare un pianoforte usato da loro. Con quello ho iniziato a prendere lezioni, a studiare. Prima classico e poi il resto, e poi in seguito a scrivere canzoni. L’incontro con la musica reale per me è fisico, amore fisico con uno strumento. E da lì tutto quello che ho dovuto fare per inseguire la possibilità di acquistarlo. L’incontro musicale per me è fisico, quindi la prima cosa che mi è venuta in mente è l’incontro con quel pianoforte lì. L’incontro con la musica in realtà, quello non fisico, quello emotivo (e quindi legato all’ascolto), per noi non proprio più esattamente adolescenti si perde un po' nel tempo, si confonde, non ci si ricorda più esattamente quale sia stato esattamente l’innesco, il motivo, l’ascolto di quale cosa o la visione di quale cosa che ci abbia mosso. Invece in me rimane molto definito l’incontro fisico, quella cosa lì.


Negli anni ’90 è poi iniziata la tua carriera da cantautore ed autore, carriera poi iniziata nel 1996 e che ti ha portato a firmare due brani che hanno fatto parte della rosa dei Big del Festival di Sanremo, tutti e due entrati tra i primi 10 della classifica finale, che sono “E’ la mia vita” di Al Bano e “Strano il mio destino” di Giorgia.

Beh, considera che l’amore per il pianoforte mi ha portato per diversi anni a lavorare poi con i pianoforti, frequentando anche un laboratorio e diventando anche un restauratore di meccaniche di pianoforti, questo per parlare di fisicità e questo la dice lunga su quanto io intenda fare, più che pensare rispetto anche alle cose che in realtà non sono materiali come la musica, proprio come artigiano. E nel mentre lavoravo con una ditta importante, in realtà usavo il tempo per rimanere sul pianoforte anche la sera, a laboratorio chiuso, a negozio chiuso per scrivere canzoni. Andai da un editore. L’editore mi disse che quello che scrivevo era ancora un po' complicato e ci sarebbe voluto del tempo per trovare un pubblico per quelle canzoni, ma mi propose di diventare autore per qualcuno. Nel frattempo avevo già vinto il Premio Città di Recanati, Musicultura (nel 1995) con un gruppo nato al Folkstudio chiamato Pi.Ste.Da.Pi. con Danila Massimi e Stefano Rossi Crespi. A quel punto accettai questa “proposta al buio” dell’editore, che mi mise a lavorare con Maurizio Fabrizio. Maurizio Fabrizio è il compositore, per dirne una, di “Almeno tu nell’universo” per Mia Martini. Scrivemmo insieme questa canzone per Al Bano. Da lì è partito fondamentalmente il traghettamento a considerare quell’attività un lavoro. E arriviamo al 1996.


E da quel momento è iniziata una carriera costellata di premi per te…

Costellata anche di persone incontrate, diversi gruppi. Gente come Marco Siniscalco, Arnaldo Vacca, tanti musicisti incontrati in quegli anni… Lì ho cominciato a concepire le cose anche per me, tenendo sempre in parallelo l’attività di autore perché è molto interessante percepire cose non destinate a te. Ti fa muovere in un recinto diverso, ti permette di ampliare proprio la visuale. Nel 1997-98 è arrivato poi l’incontro con Pino Pecorelli e Fabrizio Fratepietro, attualmente ancora miei amici e collaboratori del mio primo disco chiamato “Dispari” (ci abbiamo lavorato insieme). Nel 1998-99 invece c’è stato l’incontro con Stefano Senardi, già presidente della PolyGram e varie altre cose, che mi propose un contratto di cinque dischi e da lì iniziammo con Pino Pecorelli e Fabrizio Fratepietro a lavorare a “Dispari” e via via ai dischi successivi.


Come è nata l’ispirazione per quanto riguarda la nascita dei brani dell’album “Dispari”?

Dispari in realtà vive, anzi gode, di una raccolta di canzoni, perché il primo disco è sicuramente il luogo, l’appartamento, il contenitore dove abitano canzoni scritte da un certo momento in poi. Mentre nei dischi successivi le canzoni ovviamente sono quelle che sono state scritte tra un disco e l’altro, il primo disco gode di una sorta di censimento e raccolta tra tutte le canzoni che ho iniziato a scrivere negli anni precedenti quell’occasione. Tra i brani di “Dispari” 3 o 4 saranno stati scritti a ridosso del contratto e nel corso della realizzazione mentre gli altri brani sono 7 o 8 canzoni che ho scelto tra quelle che ho cominciato a scrivere dal 1992 fino al 2000, anno in cui si è realizzato il disco. Quindi il criterio che ci siamo posti insieme a Davide Petrosino che lavorò alla produzione artistica e a Mauro Pagani (violinista di PFM, De André e tanti altri noi tra le altre cose), che collaborò alla produzione artistica facendomi registrare a Milano alle Officine Meccaniche, è stato quello di trovare un filo conduttore tra i brani scritti in quell’anno e gli altri scelti tra i brani scritti negli anni precedenti il disco. Questo perché da quel momento in poi ho sempre tenuto a considerare gli album come dei concept, anche in modo non feroce e non rigorosissimo. Però ho sempre considerato il titolo del disco il seme conduttore di tutta la narrazione, quindi in base a quel titolo che ho scelto sono stati stabiliti i brani scritti negli anni precedenti che avessero un gancio con il filo conduttore di quel titolo. Ed è nata da lì la scaletta che ha composto quel disco.


E’ stato un anno molto importante per te anche il 2005, principalmente per due accadimenti: il ritorno come autore al Festival di Sanremo per Nicky Nicolai e Stefano Di Battista e il passaggio alla casa discografica Radio Fandango di Domenico Procacci per la quale hai pubblicato il disco “Acqua luce e gas”. Parlaci di questa doppia esperienza di quell’anno.

Beh, a “Dispari” del 2000 segue “Non bastano i fiori” del 2003, un disco per me molto importante perché l’esperienza del primo disco è un’esperienza che subisci in qualche modo, perché è un privilegio, è un subire in privilegio, in quanto hai la possibilità di farlo ma non conosci minimamente alcun tipo di passo, alcun tipo di passaggio che quella possibilità comporta, quindi subisci un po' tutte le fasi. Mentre il secondo disco “Non bastano i fiori” del 2003, sempre condotto insieme a Fabrizio Fratepietro e Pino Pecorelli era proprio un passo liberatorio, o meglio: la consapevolezza di conoscere tutti i passi dalla creazione alla produzione, dall’uscita alla promozione, dal tour alle date, ai concerti con cognizione di causa maggiore e quindi con una serenità maggiore. Per rispondere alla domanda, arrivati nel 2005, la casa discografica di Stefano Senardi chiuse e quindi non potemmo insieme ottemperare al contratto di cinque dischi ma in un concerto venne a trovarmi Domenico Procacci, noto produttore cinematografico di Fandango, che nel frattempo si era appassionato al mio percorso, e si propose di essere lui a continuare questa possibilità di produzione. Accettai, strutturò un po' meglio la sua Radio Fandango, Senardi grazie a quest’occasione divenne un collaboratore di Procacci e della sua etichetta e lavorammo a quel disco non più con Pecorelli e Fratepietro ma con Andrea Pesce, già produttore e tastierista dei Tiromancino, un vecchio amico con cui fondammo insieme il Collettivo Angelo Mai. Ci lega un’esperienza molto lunga di amicizia e di collaborazione. Nel 2005 ci fu anche la richiesta di partecipazione a quel Festival di Sanremo, con un brano che poi vinse la categoria Gruppi, io presi questa famosa statuetta, il famoso “leone con la palma” perché quell’anno premiarono anche il “Miglior Autore”.


“Acqua Luce e Gas” entrò anche in nomination l’anno successivo al Premio Tenco per la categoria Miglior disco dell’anno…

Mi ricordo la cinquina: c’eravamo io, De Gregori con “Calypso”, Bersani, i Baustelle e Vinicio Capossela che vinse con “Ovunque proteggi” dominando la cinquina. Tra l’altro, per fare un passo indietro, conobbi Capossela registrando “Dispari” (stavo registrando a Milano nello Studio B delle Officine Meccaniche) e al di là del corridoio dello Studio A c’era Capossela che stava registrando con Pasquale Minieri e stavano registrando “Canzoni a manovella”.


Hai parlato poco fa dell’Angelo Mai. Quale è stata per te l’importanza del Collettivo Angelo Mai nello sviluppo della scena musicale romana dagli anni 2000 in poi.

Ci siamo resi conto negli anni a seguire di quanto sia stata importante quell’esperienza non a livello romano ma a livello italiano. Ho sempre creduto molto per istinto alla natura “collettivo”, cioè alla capacità e alla possibilità di rinunciare, indietreggiare di un metro rispetto a sé stessi, per poter vedere avanzare un’idea allargata. Infatti ancor prima del Collettivo Angelo Mai sono stato tra i primi fondatori dell’Associazione Apollo 11 e creammo con altre otto-nove persone l’Orchestra di Piazza Vittorio.


E mi hai praticamente anticipato perché avevo pronta anche una domanda sull’orchestra di Piazza Vittorio… visto che ci siamo parlaci anche di come è nata l’idea dell’Orchestra di Piazza Vittorio.

Guarda, in ordine cronologico ti parlo prima dell’Orchestra di Piazza Vittorio perché si tratta della prima grande esperienza di progetto di risultato collettivo. Tra i fondatori c’era Mario Tronco (già Avion Travel), Agostino Ferrente, che poi è il regista con cui girammo il film “L’Orchestra di Piazza Vittorio” e incominciammo in quel periodo all’Esquilino a cercare tutti quei musicisti che in realtà potevamo ammirare sotto i portici dell’Esquilino suonando in modo pazzesco diversi strumenti ma tutti musicisti che poi vedevi andare in fuga al primo lampeggiante della Polizia che girava nel quartiere, perché tutti o quasi senza permesso di soggiorno a disposizione. Quindi l’idea dell’organico fu proprio quella di riuscire a reclutarli tutti, selezionando anche il tipo di strumento e poter scritturare loro attraverso un contratto con una cooperativa e attraverso questo contratto di lavoro dar loro la possibilità di ottenere il permesso di soggiorno e lavorare stabilmente nell’orchestra. Da qui nacque la necessità di avere un luogo, perché senza luoghi le idee vanno perse, e quindi era necessario creare una casa per quest’orchestra e ci insediammo all’interno dell’Istituto Galileo Galilei con l’Apollo 11 (struttura che ancora c’è e ancora produce su Roma tante occasioni culturali) e da lì, nel giro di pochi anni, l’Orchestra di Piazza Vittorio ha avuto modo di viaggiare per conto proprio, abbiamo poi costituito la società che la tutelasse, e poi ormai l’Orchestra di Piazza Vittorio è diventata quello che è a sua volta creando orchestre a catena. Da lì nacquero diverse cose, e Pino Pecorelli che oltre a essere il mio contrabbassista fu il primo musicista intorno al quale creammo l’organico dell’Orchestra di Piazza Vittorio, e a sua volta poi negli anni ha fondato e tuttora guida la Piccola Orchestra di Tor Pignattara, che è una sezione giovanile di orchestra etnica, che raccoglie giovanissimi musicisti di ogni nazionalità per lo più residenti nel quadrante Tor Pignattara-Casilino-Prenestino-Pigneto. Poi, anni dopo, con Andrea Pesce fondammo il Collettivo Angelo Mai per istinto, perché nel convitto occupato di Via degli Zingari dove intervenimmo con un mio concerto per dedicare l’attenzione e qualche risorsa economica a un gruppo di persone che senza casa aveva occupato e abitava quell’antico stabile abbandonato e occupato, e da lì in poi abbiamo creato questa struttura, quest’organico di musicisti allargati che lì provava, studiava, componeva e nel giro di due anni abbiamo mosso un numero enorme di persone in città, arrivando anche a un grosso livello di attenzione e siamo riusciti a ottenere molte cose per queste persone, ma non ci siamo resi conto che stavamo ottenendo molte cose per quanto riguarda un nuovo aspetto di comunità musicale in Roma. Poi lasciammo quel posto in via degli Zingari e ci offrirono di spostarci in un altro luogo e Walter Veltroni ci affidò un pezzo di parco alle Terme di Caracalla (nel Parco San Sebastiano) facendo una vera e propria assegnazione, e da lì abbiamo lavorato tre o quattro anni, girando e facendo concerti con il Collettivo Angelo Mai, vendendo il nostro disco autoprodotto e con i soldi realizzati abbiamo cominciato a creare un teatro all’inglese all’interno del Parco San Sebastiano (nell’attuale sede) e dopo tre-quattro anni di lavoro siamo riusciti a insediarci in un nuovo luogo. E lì ci siamo poi resi conto che quel tipo di sonorità, quel tipo di modo di registrare, quel modo interattivo di scrivere, cantare e suonare contemporaneamente tutti, in breve tempo era arrivato all’attenzione di tanti artisti non soltanto romani ma italiani. Fra gli amici più stretti legati a quell’esperienza ci sono Manuel Agnelli e tantissimi altri. Tant’è vero che Rodrigo D’Erasmo, che era il violinista del Collettivo Angelo Mai, divenne poco tempo dopo il violinista degli Afterhours. Stessa cosa per Gabriele Lazzarotti, il nostro bassista che divenne il bassista di Niccolò Fabi e Daniele Silvestri, così come accaduto per Fabio Rondanini, uno dei due batteristi del Collettivo Angelo Mai, entrato a far parte anche dei Calibro 35 e degli Afterhours. Esempi che la dicono lunga su quanto in realtà quel gruppo di lavoro ha prodotto non soltanto un’idea nuova di realizzare, ma ha prodotto anche figure di spicco che hanno avuto modo poi di uscire da Roma e professionalmente collocarsi anche altrove.


Tra l’altro, a proposito di Daniele Silvestri e Niccolò Fabi, negli anni hai avuto modo di collaborare con entrambi. Per Fabi hai firmato uno dei suoi maggiori successi della sua carriera recente che è “Aliante”.

Con Niccolò c’è una grande amicizia, siamo molto diversi nel modo di rapportarci come è giusto che sia, ma in amicizia c’è sempre la possibilità di confronto. Un giorno, lavorando insieme, perché facemmo anche un tour insieme (c’era anche Roberto Angelini) in un periodo in cui il Collettivo Angelo Mai per questioni pratiche doveva star fermo, Niccolò ha pensato di aggregare al suo tour me e Roberto Angelini proprio come spalla integrante al suo concerto, sia come apertura che all’interno del live stesso e questo ci ha dato modo di continuare a parlare del Collettivo Angelo Mai anche andando in tour, e questo è stato un grande aiuto da parte di Niccolò in quel momento, da lì si è stretta non soltanto l’amicizia ma la cognizione del lavoro, e un giorno riflettendo con lui gli proposi questa canzone, anzi no, gli proposi l’idea perché lui tende a partire come firma, come cifra di scrittura a partire sempre da sé stesso come punto di osservazione. Mentre Daniele Silvestri, altro mio amico, è un autore diversissimo e si lancia su soggetti e prospettive diverse non sempre parlando di sé in prima persona ma variando tantissimo il suo punto di vista, Niccolò è uno che coerentemente a questa modalità usa sempre sé stesso come centro, come pallino del racconto. La mia proposta fu, per una volta, di provare a scardinare questo angolo funzionale per lui di partenza e parlare di altro. E “Aliante” (la musica è sua, il testo è mio) non è altro che il racconto della nostra amicizia. Dove lui è l’aliante elegante bianco che svolazza e io, in quel caso in direzione contraria (perché facevamo un viaggio diverso) e io il dirigibile. E questi due elementi aerei abbastanza somiglianti l’uno dall’altro secondo il mio punto di vista di quel momento, l’aliante e il dirigibile, si incontrano ciclicamente nel cielo e incontrandoli in quel momento si rendono conto che in realtà la lontananza in amicizia non è mai distanza e quindi si raccontano quello che avviene sotto di loro guardando il naso della gente che li guarda volare.


Due anni dopo è arrivata la collaborazione con Daniele Silvestri per l’album “S.C.O.T.C.H.”.

Guarda, più che l’album SCOTCH è successa questa cosa. Mentre Daniele scriveva e preparava il live di SCOTCH, Daniele mi disse che gli avevano proposto un concerto di canzone-teatro, o meglio teatro-canzone, in una rassegna a Caserta, nel Teatro della Rocca di Caserta Vecchia, un posto meraviglioso, dove ogni anno facevano questo festival particolare, e gli proposero uno spettacolo di teatro-canzone. Daniele, da amico che aveva appena assistito a un mio spettacolo che si chiamava “Il Concertacolo” in cui c’era molto testo, uno spettacolo teatrale dove in realtà la gente viveva un equivoco temporale, ci trovavamo tutti a vivere una cosa spostata nel tempo, cose già accadute, era un mio gioco sul tempo. Daniele poi vide la parte e mi disse: “Senti, perché non facciamo il tuo spettacolo, prendiamo quest’occasione di Caserta, magari mi inserisco anche io con delle canzoni mie e pensi a una regia che possa coinvolgere anche me e facciamo insieme questa cosa”. Nel giro di un mese ho messo su tutto questo prevedendo anche lui e la sua band e la cosa che è accaduta è che facendolo a Caserta in prima assoluta, i promoter da quel momento hanno cominciato a comprare quello spettacolo e quindi da una situazione che sembrava essere una tantum il tutto si è trasformato in un anno di tournée. Abbiamo organizzato nel corso dell’anno dall’Arcimboldi di Milano al Metropolitan di Catania una grande tournée per tantissimi teatri italiani con quello spettacolo teatrale e musicale che porta il titolo di “E l’inizio arrivò in coda”. Spettacolo estremamente divertente, tre ore di spettacolo folle e molto bello per chi ha avuto modo di vederlo in quell’anno. Abbiamo sempre nel cassetto con Daniele la voglia di riprendere il secondo atto di quello spettacolo con una nuova idea che ho già pronta, e sicuramente arriverà il momento in cui a sorpresa lo mettiamo su e tiriamo fuori il seguito di quella storia. E questo era contemporaneo a SCOTCH, infatti Daniele si trovò a una doppia tournée. In quello stesso anno aveva la tournée nei club per l’album SCOTCH e la tournée teatrale con me “E l’inizio arriva in coda”: un anno molto denso.


Qual è per te l’importanza del rapporto tra te e il teatro.

Vitale. Ti confesso un mio piccolo difetto di percezione nei confronti del cinema: da piccolo mi rifiutavo di vedere i film perché non riuscivo a far pace con questa cosa, con il come il film viene girato, con il prodotto del film ormai finito e proiettato in sala, potesse in realtà rimanere indifferente a quello che succedeva in sala, o meglio, pensavo “ma se in questo momento sparano a uno nella quarta fila o semplicemente scappa uno in seconda fila o crolla il tetto del cinema questo film ma avanti lo stesso, l’attore dice sempre la stessa battuta e tutto va avanti indifferentemente”. Questa mia concezione folle mi ha messo nella condizione di vedere molto meno cinema e molti meno film e cercarmi molto di più le situazioni in cui tutto potesse essere in realtà suggestionato e messo anche in crisi oppure esaltato da questioni più vive. E quindi il teatro mi ha affascinato molto di più. Mi ricordo lo spettacolo con Dario Fo e Franca Rame, “Il papa e la strega” mi sembra di ricordare, in cui vidi quattro repliche di fila perché mi incuriosiva questa dinamica di proporre tutte le sere la stessa cosa che poi in realtà non è mai la stessa, perché cambia umore e clima ogni sera. Durante la terza serata qualche tecnico lasciò una lattina di Coca-Cola su una specie di balconcino finto presente nella scena. A un certo punto appare questa Coca-Cola che evidentemente nella lavorazione, nell’allestimento, nel tirare la scena, nel preparare tutto lo spettacolo, era rimasta lì. La lattina di Coca-Cola improvvisamente diventa per Dario Fo la possibilità di agganciare un’altra cosa, al pubblico di vivere quella nuova cosa, e improvvisamente una semplice lattina di qualche centimetro aveva completamente spostato una scrittura per poi tornare nella scrittura. Questo è per me rimasto il vero principio fondante della condivisione dell’evento mobile, dell’evento vitale, del mio rapporto con il teatro. Poi negli anni sono rinsavito e ho anche incominciato a vedere in ritardo un bel po’ di film perché ho fatto pace con il fatto che ci potesse essere anche qualcosa che in realtà se ne fregasse di noi e andasse avanti comunque liberamente perché già così concepita per sempre.


Questo periodo di quarantena per tutti noi è anche un po' un periodo di pausa e di riflessione per gli artisti. Ma tu non ti sei fermato e hai inventato anche delle nuove rubriche come per esempio l’ “In a Meter Show” che ogni giorno svolgi su Instagram. Parlaci di questa tua idea.

C’è una cosa che mi ha colpito molto, un’altra collaborazione, l’ultima nata in ordine cronologico ma molto fondata, che è una collaborazione con Vinicio Marchioni, attore nato da Romanzo Criminale ma poi in realtà ha studiato molto in teatro. Mi propose di scrivere le musiche per un suo pallino. Lui voleva mettere in scena lo Zio Vanja di Cechov, erano quattro anni che lavorava a quest’idea, me ne ha parlato e ho scritto le musiche originali per questo spettacolo e lavorando proprio all’allestimento (poi in questi anni abbiamo fatto nei tempi recenti una tournée terminata a marzo, abbiamo fatto I Soliti Ignoti, con lui alla regia e io alle musiche originali, e ci siamo fermati per via della pandemia, avevamo fatto sessanta date e le ultime venti sono sfumate per colpa della pandemia) ho scoperto quanto fosse importante per Cechov anche nell’indolenza dei suoi personaggi questa lentezza di questi personaggi che in realtà non pronunciano mai cose fondamentali, ma anzi quanto fosse importante per lui fare più che dire, più che pensare di essere qualcosa, più che tentare di far credere agli altri chi uno è. E questa cosa del “fare” mi è rimasta molto presente. Nel momento in cui il “fare” ci è stato proprio decapitato perché per noi che facciamo della mobilità e dell’incontro sociale il nostro vero lavoro (è vero che noi passiamo le nottate a scrivere e a concepire, ma tutto questo diventa reale e compiuto grazie alla mobilità, al transito e alla socialità, che sia il concerto, che sia lo spettacolo, che sia la riunione, l’intervento, la masterclass, l’incontro con le scuole o con le università), mi è venuto a galla questo concetto di Cechov e ho pensato “bisogna fare, tutto il resto è roba che va e viene”. Bene, che cosa faccio? Siccome il decreto attualmente in vigore prevede la distanza di un metro, la prima mattina dopo il lockdown penso “che cosa posso fare in un metro? Qual è l’ambiente reale che misura un metro?”, sedendomi in bagno la mattina mi sono reso conto che dal mio water alla parete di fronte c’è esattamente un metro. E quindi quello è diventato il palco e lo scenario in cui ogni mattina produco qualcosa di un minuto, perché 59 secondi rientrano nella possibilità di caricare qualcosa su Instagram senza essere interrotti, e tutte le mattine ininterrottamente da quel giorno (e procederemo finché ce ne sarà la necessità) faccio. Il fare comporta questa cosa, comporta apparentemente un dispendio perché non smetti anche di pensare cosa fare, ma il fare ha in sé un germoglio continuo di fare altro. Quindi non è detto che questa cosa non ne diventi un’altra nel momento in cui speriamo presto cesserà questa costrizione.


Progetti futuri?

Il primo in ordine assoluto è il nuovo disco, la pubblicazione del nuovo disco a 20 anni dall’uscita della prima pubblicazione, quindi quest’anno ho pronto un disco di cui è stata rallentata la realizzazione perché quando è partito il lavoro che ci hanno commissariato da Napoli per la realizzazione, per la prima realizzazione mondiale perché nessuno l’aveva mai fatto prima in teatro (I soliti ignoti) e quando Vinicio ha iniziato a lavorare alla regia e io alle musiche abbiamo iniziato a impiegare due-tre mesi di lavoro alla tournée che in origine come detto prima comprendeva ottanta date e ne abbiamo fatte sessanta fino al blocco dei primi di marzo, e quindi abbiamo rallentato un po'. Come ci siamo fermati per questa cosa, mi sono riprecipitato in studio con Fabrizio Fratepietro a scrivere i brani mancanti per la realizzazione del nuovo disco. Ora siamo in difficoltà anche in questo senso perché ci siamo dovuti fermare anche con lui a causa dello studio chiuso e varie altre cose. E quindi i progetti futuri sono: uscire con un singolo, mi auguro per maggio di farcela, un singolo per me importante con un videoclip per me importante con un regista che stimo molto, siamo pronti per farlo a maggio e nel periodo estivo fra maggio e giugno chiudere definitivamente le parti mancanti e mixate al disco ed essere pronti per uscire mi auguro per settembre-ottobre. Questo è il progetto principale, poi come già detto, ho sempre tantissime cose parallele, ma vorrei concentrarmi su questo progetto anche per rispettare il ventennale, che vorrei omaggiare in questo modo perché non è detto che sia proprio dovuto riuscire a fare vent’anni di carriera.

Nessun commento:

Posta un commento